Prendendo a prestito filosofia e metodi dalle scienze naturali, le scienze sociali hanno come oggetto di osservazione tutti i fenomeni frutto dell’intervento umano. Dall’espansione dei centri urbani alla politica monetaria della Banca Centrale Europea; dalle migrazioni di massa alle dinamiche psicologiche sottese alla gestione di un condomio.
Per essere tali, le scienze sociali devono essere obiettive: non devono cioe’ raccontare “come le cose potrebbero o dovrebbero andare”, ma piuttosto “come le cose stanno”.
Assicurando la massima imparzialita’, io scienziato osservo e raccolgo i dati. Li analizzo e ne attribuisco un valore statistico. Li interpreto, cercando di esplicitare una serie di relazioni di causa ed effetto. Il resto non e’ affar mio: per definizione, da scienziato non sono tenuto ad esprimere un’opinione su una direzione auspicabile da prendere sulla base di tali risultati.
Al contrario, l’opinione e il giudizio personale, negli ambienti scientifici piu' rigorosi, sono forse quanto di piu’ deprecabile ci possa essere.
Esempio.
Supponiamo che io sia uno scienziato sociale e che mi occupi del processo di urbanizzazione che ha sconvolto il mondo negli ultimi 10 anni. Per prima cosa, andro’ alla ricerca dei dati sulla costruzione di nuove abitazioni (quante, dove, metratura, etc.), per poi confrontarli con i dati relativi all’espansione della popolazione (numero di nascite, morti, nuovi immigrati, etc.), e con quelli relativi al costo del denaro e dei mutui (tassi di interesse, etc.). Probabilmente, trovero’ e quantifichero’ la seguente correlazione tra le variabili: allo scendere del costo del denaro e dei mutui, si registra un incremento nella costruzione di nuove case, ma non un’espansione di pari valore nel numero di abitanti.
Il punto a cui vorrei arrivare e’ questo: questa conclusione non dice nulla rispetto al fatto che il fenomeno osservato sia bello o brutto, giusto o sbagliato. Per esempio, non dice nulla sul fatto che costruendo piu’ case che abitanti:
- ci ritroveremo in un mondo sempre piu’ privo di natura e pieno di cemento, anche se non ce n’e’ bisogno;
- se il mercato degli investimenti non venisse piu’ a compensazione, il prezzo delle case prima o poi crollerebbe (ed e’ quello che e’ successo, non a caso poco pronosticato dagli economisti).
Per un momento mi piacerebbe pensare ad un mondo in cui tutti ragionano come gli scienziati.
Un mondo cioe’ in cui tutti studiano il passato per capire il presente (come nell’esercizio appena fatto), ma in cui nessuno si chiede che futuro stiamo costruendo, e si interroga sulla bonta’ della direzione presa. In altre parole, mi sembra che la scienza guardi al passato piuttosto che al futuro: non a caso si fonda su un metodo statistico chiamato “regressione” (!).
E' interessante notare, inoltre, che oltre alla scienza anche la finanza risulta schiacciata sul presente. Si fonda infatti sul principio di "valore presente": la bonta' di un investimento non si misura sul guadagno futuro, quanto sulla sua convenienza presente a fronte della svalutazione del denaro e delle altre alternative in gioco.
Credo quindi che se scienza e finanza non vengono compensate da etica e conoscenza normativa (quella fondata sulle norme condivise, che ci indicano cosa e’ bene e cosa e’ male), esiste il rischio di ritrovarsi una societa’ che non ha idea di dove sta andando.
Guarda alla globalizzazione odierna, imperniata su un approccio al business sempre piu' scientifico e finanziario: "senza accorgersene", sta distruggendo gli ecosistemi del mondo; sta introducendo nuove tecnologie prima di verificarne un possibile danno futuro agli esseri umani (penso per esempio alle nanotecnologie); sta generando un villaggio globale senza che le persone abbiano il tempo di adattarvici.
A mio avviso, non e’ tanto sorprendente il fatto che non si abbia idea del mondo che consegneremo ai nostri figli. Ma il fatto che non ci si ponga il problema.
E se ce lo si pone, che ci si affidi a una visione ideologica e semplicistica: "la globalizzazione, imperniata sulla massima liberta' di scienza e finanza, e' la soluzione a tutti i mali".
Non credo pero' che la soluzione risieda nel colpevolizzare scienza e finanza.
Al contrario, avremo forse un sempre piu’ disperato bisogno di entrambi per risolvere le sfide che abbiamo difronte. Il punto e’ riassegnare loro il giusto valore. Contestualizzarle, de-ideologizzarle, smussarle nei tratti piu’ radicali, perseguendo l’interdisciplinarita’ e la pratica del buon senso nell’educazione e formazione delle persone.
Per far si’ che anche il futuro, oltre che il passato e il presente, venga contabilizzato nell’approccio scientifico cosi' come in quello finanziario. Per creare quei meccanismi per cui i leader del futuro non possano che essere tali a tutto tondo.
(sullo stesso argomento, “Umanisti contro Tecnici”: