martedì 30 giugno 2009

Scienza del passato?

Con il proseguire della mia avventura accademica, mi domando in che modo la forma mentis scientifica influenzi il modo in cui l’uomo moderno costruisce il mondo di oggi.

Prendendo a prestito filosofia e metodi dalle scienze naturali, le scienze sociali hanno come oggetto di osservazione tutti i fenomeni frutto dell’intervento umano. Dall’espansione dei centri urbani alla politica monetaria della Banca Centrale Europea; dalle migrazioni di massa alle dinamiche psicologiche sottese alla gestione di un condomio.
Per essere tali, le scienze sociali devono essere obiettive: non devono cioe’ raccontare “come le cose potrebbero o dovrebbero andare”, ma piuttosto “come le cose stanno”.

Assicurando la massima imparzialita’, io scienziato osservo e raccolgo i dati. Li analizzo e ne attribuisco un valore statistico. Li interpreto, cercando di esplicitare una serie di relazioni di causa ed effetto. Il resto non e’ affar mio: per definizione, da scienziato non sono tenuto ad esprimere un’opinione su una direzione auspicabile da prendere sulla base di tali risultati.
Al contrario, l’opinione e il giudizio personale, negli ambienti scientifici piu' rigorosi, sono forse quanto di piu’ deprecabile ci possa essere.

Esempio.
Supponiamo che io sia uno scienziato sociale e che mi occupi del processo di urbanizzazione che ha sconvolto il mondo negli ultimi 10 anni. Per prima cosa, andro’ alla ricerca dei dati sulla costruzione di nuove abitazioni (quante, dove, metratura, etc.), per poi confrontarli con i dati relativi all’espansione della popolazione (numero di nascite, morti, nuovi immigrati, etc.), e con quelli relativi al costo del denaro e dei mutui (tassi di interesse, etc.). Probabilmente, trovero’ e quantifichero’ la seguente correlazione tra le variabili: allo scendere del costo del denaro e dei mutui, si registra un incremento nella costruzione di nuove case, ma non un’espansione di pari valore nel numero di abitanti.

Il punto a cui vorrei arrivare e’ questo: questa conclusione non dice nulla rispetto al fatto che il fenomeno osservato sia bello o brutto, giusto o sbagliato. Per esempio, non dice nulla sul fatto che costruendo piu’ case che abitanti:

- ci ritroveremo in un mondo sempre piu’ privo di natura e pieno di cemento, anche se non ce n’e’ bisogno;
- se il mercato degli investimenti non venisse piu’ a compensazione, il prezzo delle case prima o poi crollerebbe (ed e’ quello che e’ successo, non a caso poco pronosticato dagli economisti).

Per un momento mi piacerebbe pensare ad un mondo in cui tutti ragionano come gli scienziati.
Un mondo cioe’ in cui tutti studiano il passato per capire il presente (come nell’esercizio appena fatto), ma in cui nessuno si chiede che futuro stiamo costruendo, e si interroga sulla bonta’ della direzione presa. In altre parole, mi sembra che la scienza guardi al passato piuttosto che al futuro: non a caso si fonda su un metodo statistico chiamato “regressione” (!).

E' interessante notare, inoltre, che oltre alla scienza anche la finanza risulta schiacciata sul presente. Si fonda infatti sul principio di "valore presente": la bonta' di un investimento non si misura sul guadagno futuro, quanto sulla sua convenienza presente a fronte della svalutazione del denaro e delle altre alternative in gioco.

Credo quindi che se scienza e finanza non vengono compensate da etica e conoscenza normativa (quella fondata sulle norme condivise, che ci indicano cosa e’ bene e cosa e’ male), esiste il rischio di ritrovarsi una societa’ che non ha idea di dove sta andando.
Guarda alla globalizzazione odierna, imperniata su un approccio al business sempre piu' scientifico e finanziario: "senza accorgersene", sta distruggendo gli ecosistemi del mondo; sta introducendo nuove tecnologie prima di verificarne un possibile danno futuro agli esseri umani (penso per esempio alle nanotecnologie); sta generando un villaggio globale senza che le persone abbiano il tempo di adattarvici.
A mio avviso, non e’ tanto sorprendente il fatto che non si abbia idea del mondo che consegneremo ai nostri figli. Ma il fatto che non ci si ponga il problema.
E se ce lo si pone, che ci si affidi a una visione ideologica e semplicistica: "la globalizzazione, imperniata sulla massima liberta' di scienza e finanza, e' la soluzione a tutti i mali".

Non credo pero' che la soluzione risieda nel colpevolizzare scienza e finanza.
Al contrario, avremo forse un sempre piu’ disperato bisogno di entrambi per risolvere le sfide che abbiamo difronte. Il punto e’ riassegnare loro il giusto valore. Contestualizzarle, de-ideologizzarle, smussarle nei tratti piu’ radicali, perseguendo l’interdisciplinarita’ e la pratica del buon senso nell’educazione e formazione delle persone.
Per far si’ che anche il futuro, oltre che il passato e il presente, venga contabilizzato nell’approccio scientifico cosi' come in quello finanziario. Per creare quei meccanismi per cui i leader del futuro non possano che essere tali a tutto tondo.

(sullo stesso argomento, “Umanisti contro Tecnici”:

venerdì 26 giugno 2009

Tutto il bello dell'Italia

E’ un venerdi’ pomeriggio di giugno quando le ruote del nostro aereo riaccarezzano la pista del Marco Polo di Venezia. Il nuovo terminal a torrette di mattoni a vista con cupola verde consegna un sapore arabeggiante al nostro arrivo. L’Italia e’ momentaneamente un posto esotico per noi: dopo tre mesi di Boston, i pavimenti di parquet smaltato e il nastro delle valigie con i numeri della roulette non tardano a ricordarci che un aeroporto puo’ essere anche un luogo bello e fantasioso, oltre che funzionale.

Si aprono le porte automatiche e immediatamente il caldo estivo mediterraneo ci avvolge in un abbraccio famigliare. Il sole ci abbaglia, qualche cicala ci chiama dall’ombra di un pino marittimo, l’umidita’ padana la odori nell’aria. La nostra Punto mi sembra una meraviglia del design: sofisticata e giovanile nelle forme, leggera nel suo colore chiaro metallizzato. Le persone sono magre, abbronzate, vestite elegantemente e sorridenti. Belle da vedere. Scherzano tra di loro e parlano una lingua dolce, l’italiano, con una varianti ancora piu’ dolci, quelle del dialetto veneto. Benvenuti. Non Welcome Back.

In viaggio verso casa, le villette scorrono una dietro l’altra, allineate con fantasia, con recinzioni ritagliate creativamente per separare il proprio giardinetto da quello del vicino. Nelle laterali e difronte ai “bar” piccoli crocchi di persone sembrano discutere animatamente: intravvedo sorrisi sulla bocca. La maggior parte di palazzi e abitazioni risplende di colori forti: terra di siena, giallo, arancio, rosa e verde ti accendono la vista in tutte le direzioni. Il verde brillante dei campi di mais tiene insieme il paesaggio. L’ingresso in casa porta con se’ la frescura del pavimento in marmo. Lo sbattere dei piatti, le sigle dei telegiornali e le scroscianti chiaccherate dei vicini in terrazzo sono la colonna sonora di questa nostra prima serata italiana.

Il giorno dopo usciamo per incamminarci verso il centro pedonale di Padova.
Passeggiare sul selciato e sotto un porticato medievale fa un certo che. Varcato l’arco di porta Altinate, il tripudio. Veniamo inghiottiti da una folla festosa che si muove in tutte le direzioni: chi con i sacchetti in mano, chi a manina con i bambini, chi abbracciato al fidanzato, chi piantato in mezzo alla via a chiaccherare, chi con un bicchiere in mano dal vicino bar, chi in un angolo a suonare, chi di corsa a zig-zag, chi affacciato al balcone, chi vociferante al telefonino, chi seduto a un tavolino. Gli sguardi sono intensi, i modi sofisticati e sensuali. Il mood della folla quanto mai vivace e caldo. Sentiamo la gioia di vivere. Vediamo la gioia di vivere.

E insieme, percepiamo il nostro senso di estraneazione e alienazione, abituati a ben altro negli USA: quanti sguardi assenti e distaccati, quanta crudezza nel vestire e nei modi, quanta fretta e auricolari nelle orecchie, quanta solitudine. Mi sono temporaneamente dimenticato dei problemi dell’Italia e mi domando: come e’ possibile che questo popolo, che ha cosi’ tanto, sia anche tanto insoddisfatto della propria condizione? Che la propensione alla gioia di vivere e alla bellezza non siano abbastanza? Di che cosa potranno lamentarsi tanto? Non bastano le alpi, la pianura, i laghi, le colline, le citta’ d’arte, il mediterraneo, il sole, il sorriso, la buona cucina?

Forse l’attitudine al lamentarsi di tutto e’ proprio il giusto “contrappasso” per tenere il sistema in equilibrio. Forse e’ il complesso di inferiorita’ che ci portiamo dietro verso i paesi piu’ moderni. Forse sono lo scarso senso civico e la cultura “mafiosa”, in tutte le loro sfumature, che non ci fanno sentire a posto con noi stessi. Forse e’ giusto cosi’, ma vale la pena ricordarsi spesso di tutto il bello dell’Italia. Il mondo di oggi ha un grande bisogno anche di noi.