sabato 29 agosto 2009

Una Toscana di virtu'

La strada sguscia tra le ultime colline, sfocia in una piana, punta dritta verso il mare. Freccia a sinistra, svoltiamo, il campo visivo ci si spalanca contro una distesa giallo-verde di girasoli, sovrastata da un profilo collinare che sembra la firma di un’artista.
Tutt’intorno, nitidezza: di un cielo e di una luce che demarcano nettamente i confini, che fanno brillare i colori con una gentilezza inusuale, che non accennano alcuna offesa a uno sguardo che ormai non offre alcuna resistenza.
Freno. Entro nello sterrato. Parcheggio. Ci attende una settimana di vacanza e riposo nella Maremma Toscana, in una delle infinite fattorie che accolgono i tanti pellegrini dell’armonia che convergono in questa regione dall’Italia e dal mondo.

Giorno 3, ci sorprende il diluvio.
In seconda, risaliamo la costa piu’ inclinata di una collina, mentre terra e cielo si fondono in nuvole di pioggia. Il verde di Scansano sembra avere una sete disperata.
La porzione e’ abbondante, la consistenza densa ma frastagliata. Il gusto disorienta perche’ porta in tante direzioni: ogni ingrediente ha un sapore forte, ben marcato, genuino fino ad arrivare ad un retrogusto di terra. Non sembra vero che stiamo mangiando uno dei piatti piu’ poveri della tradizione maremmana contadina, l’“acqua cotta”: un’improbabile zuppa di sedano, pomodori, pane e uova, la cui unica speranza e’ quella di contare sulla bonta’ dei singoli ingredienti.
Mi ero dimenticato cosa questo potesse voler dire.

Giorno 5, manca poco piu’ di un’ora al tramonto.
Lasciamo il casale di corsa, non vogliamo perderci un’istante della luce piu’ bella, sfilando nella molteplicita’ di vedute che un breve tragitto in macchina puo’ magicamente offrire. La strada sale a chiocciola, Montepescali e la sua sagra del cinghiale ci guardano dal cucuzzolo. Da qui, il mare e’ macchia blu-grigia che scompare e compare all’orizzonte, compagno fedele di questa terra, introdotto da impressionanti pinete millenarie.
Un parcheggiatore mi fa accostare a sinistra, una navetta potra’ portarmi comodamente in cima. Non mi sorprende l’efficienza organizzativa: nuovi dispositivi elettronici alimentati da energia solare regolano l’accesso al Parco Naturale della Maremma.

La sagra e’ la festa di tutti, il pranzo di famiglia dell’intero paese, un ambiente sano in cui i bambini sgattaiolano sotto le gambe dei nonni. La dolcezza e l’affabilita’ delle persone generano un’atmosfera fluida e naturale. E’ tempo pero’ di ascoltare i grilli, a piedi in discesa, pilotati dal quarto di luna che squarcia il buio pesto, esaltando il profilo della maestosa foresta di lecci regno del cinghiale. Il paesaggio e’ se’ stesso: intatto, selvaggio, autentico, amorevole.

E’ arrivato il momento di ripartire e non posso che domandarmi se la Toscana che ho conosciuto e’ cio' che l’Italia dovrebbe cercare di essere. Nel pieno di una crisi di identita’, di una globalizzazione che non riusciamo ad assorbire nelle sue richieste di una filosofia di vita che non ci appartiene, potremmo forse riscoprire la grande anima umanistica del paese.
Inchiodati al nostro passato industriale, costantemente sul banco di prova per rimanere “tra i grandi paesi del mondo”, ho spesso l’impressione che non riusciamo apprezzare abbastanza la meraviglia e le straordinarie potenzialita’ dell’attitudine italiana alla vita.
Nell’epoca della super-accelerazione, dell’uomo imprenditore di se’ stesso, dell’innovazione a tutti i costi, dell’indispensabilita’ della grande scala e della massimizzazione dei profitti, potremmo offrire al mondo quello che piu’ prezioso abbiamo: noi stessi.
Come esempio vivente di ricerca del bello, di un certo equilibrio e leggerezza del vivere, di socialita’ e di spontaneita’, di amore verso la terra attraverso la buona tavola. Riscoprendo e prendendoci cura di un paesaggio che inevitabilmente parla di noi. Capendo come la nostra grande tradizione umanistica e artistica possa essere riproposta in chiave moderna, messaggio verso quella fetta di mondo globalizzato fatta di uomini sempre piu’ stressati, soli, alienati. Capitani di un rinascimento post-moderno.

La firma dell’Italia nel grande libro del mondo potrebbe assomigliare al profilo delle colline che circondano Montepescali: un gesto spontaneo di una mano mossa da genio e pace interiore.

venerdì 21 agosto 2009

Stati Uniti d'Arabia

Stiamo iniziando la nostra discesa verso l’aeroporto internazionale di Dubai, siete pregati di allacciare le cinture. Il messaggio dirama il torpore dei passeggeri, qualche occhio si schiude, i miei continuano a mantenersi aperti, cadendo regolarmente sullo schermo con la rotta. Poco piu' di un'ora fa abbiamo sorvolato Baghdad e Falluja, con un certo sussulto, per poi imboccare il Golfo Persico all’altezza di Al Basrah.

La storia recente ci e’ sfilata sotto i piedi, ma noi in un batter d’occhio ci troviamo in coda all’immigrazione, dove ci attende un arabo barbuto in thobe, tunica e cuffia bianche, con sguardo tra l’indifferente e il superiore. Sono gia’ passato di qui, poco piu’ di un anno fa, ma non riconosco piu’ il terminal dell’aeroporto. Palme finte e giganteschi pilastri fosforescenti di giallo scandiscono un atrio mai visto tanto grande. Salto in taxi: Abu Dhabi, Rotana Beach Hotel. Da domani, domenica feriale musulmana, mi aspetta una settimana di lavoro a Masdar, la nuova citta’ voluta dallo sceicco Khalifa ibn Zaid al-Nahayan come modello di eco-sostenibilita’ per il mondo.

I 140 km di autostrada sono un righello, regolarmente punteggiato da piloni pubblicitari destinati alla promozione degli investimenti negli Emirati Arabi Uniti (UAE): “stiamo costruendo la storia”, “lunga vita all’ambizione”, “70 nuovi km di citta’ costiera tra Dubai e Abu Dhabi, due volte Hong Kong”, “capitalismo a tutta forza”.

Sveglia, colazione, strette di mano, taxi, cantiere di Masdar.
Il gruppo di consulenza a cui appartengo e’ capitanato da una societa’ inglese e si occupera’ di mettere a punto il futuro sistema di orientamento nella citta’: segnaletica, mappe e strumenti multimediali avanzati. Una sfida interessante, dal momento che Masdar non potra’ concedersi inefficienze in quanto prima citta’ “carbon-neutral” del mondo: per ogni molecola di CO2 rilasciata, ce ne dovrà essere una sequestrata o la generazione dell'equivalente di energia.
Sorta di cittadella fortificata in cui le automobili non potranno entrare, sara’ scrigno e banco di prova per le piu’ avanzate tecnologie sostenibili: navette a lievitazione magnetica pilotate da computer e ottimizzate negli spostamenti; obbligo di eco-sostenibilita’ per tutti i materiali costruttivi; perno su energia solare ed eolica; attivita’ pedonale promossa e resa possibile da studi sulla massimizzazione dell’ombreggiatura degli edifici nonche’ da enormi “ombrelloni” che si apriranno e chiuderanno magicamente nelle piazze.
Centrata su un’universita’ i cui curricula sono stati commissionati al MIT, Masdar dovra’ diventare la citta’ della scienza e della ricerca piu’ importante al mondo, sui temi del design sostenibile e delle energie rinnovabili, facendo leva sulla forza lavoro qualificata del mondo arabo e del sub-continente indiano.

Masdar e’ anche un chiaro messaggio verso il mondo: difronte al dramma dei cambiamenti climatici, l’emiro di Abu Dhabi si fa paladino di un nuovo modello di citta’. A futura referenza: da imitare, da citare nelle piu’ prestigiose riviste, da raccontare nei mass media. D’altronde, la pressione dell’opinione pubblica internazionale comincia a montare, verso una delle realta' (quella degli UAE) meno ecologicamente sostenibili al mondo:

• per essere abitabili tutti i lussuosi edifici recentemente costruiti dovranno essere condizionati 24 ore su 24, la maggior parte dell'anno; d’altro canto la maggior parte degli abitanti del paese
(si parla dell’80% del totale) sono stranieri non abituati a tale clima estremo;
• enormi quantita’ d’acqua vengono importate nel paese o desalinizzate dal Golfo Persico, per l’imponente irrigazione dei campi da golf presenti e in costruzione nel paese;
• gli impianti di fognatura spesso non esistono ancora, cosi’ che i rifiuti urbani cosi’ come i residui delle petroliere vengono scaricati in mare, non da ultimo al largo delle coste del corno d’Africa, recente teatro di assalti pirateschi;
• la stragrande maggioranza delle automobili che affollano le strade sono SUV o comunque di alta e altissima cilindrata, grazie ai bassi costi del carburante e alla massiccia presenza di nuovi ricchi occidentali e iraniani (mi e’ stato detto: “se non me la compro qui, dove altrimenti?”);
• si diffonde il fenomeno dello “splashing out”, letteralmente lo “spendere e spandere” a scopo di ostentazione, rigorosamente senza che ne esista alcun bisogno. I recenti locali alla moda di Dubai, tra cui il Just Cavalli introducono una “minimum expenditure”, spesa minima (spesso superiore ai 100 dollari) di ammissione del cliente. A partire da quella cifra non resta che affogarsi di caviale e champagne.

La porta si chiude, entrano i manager responsabili del nostro ingaggio per conto di Masdar.
Parte di loro lavora per la multinazionale Americana CH2M HILL, vincitrice dell’appalto per la gestione generale del progetto, cosi’ come di altri appalti importanti negli Emirati.
Immagino il sottofondo di connessioni politiche di alto livello tra Abu Dhabi e Washington: io ti compro il petrolio, tu con il ricavato fai arricchire le mie aziende, che trasformeranno Abu Dhabi nella New York del ventunesimo secolo. Apprendero’ ben presto che nel linguaggio di qualche manager americano ed inglese, gli UAE sono uno “start-up country”, mutuando l’appellativo “start-up” (in fase di avvio) associato alle aziende: un’organizzazione appena nata, una tabula rasa che con determinazione, ingegno e senso degli affairi si potrebbe presto far diventare caso di successo, un bel dipinto della cui paternita’ si andra’ fieri.

Nei corridoi dell’open-space del nostro prefabbricato all’interno del cantiere mi sembra di ritrovare uno spirito a me famigliare: l'energia imprenditoriale che si respira nei corridoi del MIT a Boston. Con la differenza che in buona parte dei pochi uffici presenti siedono arabi a cui spetta molta dell’autorita’ decisionale. Uomini in bianco e donne in nero (non velate) che le aziende straniere sono obbligate ad assumere, spesso persone molto intelligenti e qualificate formatesi proprio nelle universita’ americane. Alcuni di loro sembrano osservare la frenesia dall’alto verso il basso, sono vassalli di un mondo parallelo da cui non si nessuno puo' prescindere.

Torno all’hotel, e’ tardi, il tempo e le energie per mettere il naso fuori ed esplorare la citta’ se ne sono andati da un pezzo. D’improvviso pero’ mi ritrovo a spalancare una porta che mi porta dritto in un grande centro commerciale, che scopro essere adiacente all’albergo, come molti altri. Non posso non rimanere colpito dalle molte donne velate fino agli occhi, che sembrano fare a gara nello sfoggio di borsette e sandali intarsiati di preziosi, finanche diamanti.

Emirati Arabi: crocevia della globalizzazione, sintesi degli opposti.
Rispolverando questo appunto dal mio viaggio precedente, cerco disperatamente il telecomando per spegnere l’aria condizionata nella mia stanza. Che luogo singolare quello in cui il deserto convive con i campi da golf; le transazioni virtuali degli hedge funds con i linghotti d’oro spediti ai talebani; il rigore della sharia e del ramadan con lo splashing out e le architetture piu’ strabilianti al mondo.

Dove alcuni leggono un tradimento verso la grande nazione musulmana, altri un suo riscatto.
A pensarci bene, il messaggio all’umanita’ lanciato implicitamente dagli emiri sembra mutuato dal sessantotto, ma per il nuovo millennio: fate gli affari, non la guerra.
Questo luna park dei ricchi del mondo sembra esemplificarne la problematicita’, ma intanto ringraziamo che non si faccia la guerra.