Con "Il Divo", Sorrentino e’ arrivato a toccare un tema a me molto caro: la verita’ e il suo ruolo sociale, e forse anche anti-sociale stando al pensiero di Andreotti. Ne ho preso spunto per riflettere su quella che e’ la mia visione in merito: ora faccio un passo indietro e vi racconto la mia storia...
Il bagaglio etico e la formazione scientifica mi hanno portato a sposare la “missione” di ricercatore e comunicatore della verita’, cosi’ come avviene per tanti scienziati, giornalisti ed investigatori. Al riguardo, in questi pochi anni di esperienza, ho imparato che l'ostacolo forse piu' grande per comprendere la realta’ del mondo in cui viviamo e’ quello del liberarsi dai propri pregiudizi, aprendosi a recepire e vedere anche quello che non vorremmo.
E’ un passaggio che ha poco a che vedere con la razionalita’ scientifica, quanto piuttosto al rapporto dell’uomo con il proprio equilibrio emotivo e con l’immagine di se’ stesso. Sembra che tutti i comuni mortali, e in misura maggiore coloro che piu’ sentono l’esigenza di sentirsi importanti e rispettati, siano alla costante ricerca di rassicurazione sulle proprie teorie e opinioni sul mondo. Il “so di non sapere” e’ destabilizzante, l’uomo potrebbe esserne terrorizzato se si rendesse conto che in fin dei conti ha ben poco controllo sul mondo.
La mia limitata esperienza mi ha insegnato che il metodo scientifico, quando applicato con la massima competenza e rigore, puo’ aiutare l’uomo ad acquisire uno sguardo piu’ obiettivo e meno pregiudiziale. Al cuore del metodo scientifico risiedono la demarcazione e la descrizione dei fatti del mondo, senza la messa in gioco di emozioni, ipotesi o teorie, ma limitandosi a una pedante lista di caratteristiche e misure. Cosi’ facendo, ho scoperto che i fatti del mondo si compongono di tanti elementi, che spesso si contraddicono tra loro quando cerchiamo di interpretarli con un’unica teoria e ad un unico livello.
Si prenda l’attuale processo di globalizzazione economica: al riguardo si possono osservare elementi contradditori, in quanto tale globalizzazione da una parte favorisce l’emancipazione dalla poverta’ per milioni di esseri umani, dall’altra la perdita di identita’ personale e culturale di numerosi altri. Se da una parte gli ideologi del mercato libero rimarcano il primo aspetto, dall'altro gli ideologi conservatori islamici rimarcano il secondo: uno scienziato o una persona poco sovrastrutturata e libera da pregiudizi, per esempio un bambino, sosterebbero che entrambi hanno ragione. Ma quanto e’ dura convivere con la multivalenza e la complessita’ delle cose! Il piu' delle volte sono gli scienziati in prima battuta a non riuscirci, cercando rassicurazione nelle teorie e nelle scuole di pensiero.
Ed e’ cosi’ che mi sono innamorato della verita’, di quel percorso che cosi’ come l’ho descritto puo’ portare l’uomo non solo ad ammirare la straordinaria complessita’ del mondo, ma anche a comprendere che forse, in fin dei conti, la conoscenza e la ragione risiedono dappertutto e sono di tutti. Ed e’ per questo che mi fa riflettere la visione di Andreotti per cui, citando da Wikipedia, “tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta”.
Non ho di certo l’esperienza per poter interpretare una tale opinione, a differenza di chi come Andreotti ha vissuto in prima persona certe dinamiche di controllo e amministrazione della cosa pubblica. Penso pero' al rischio che tale paura nei confronti della trasparenza e della verita’ possa degenerare nell’oscurantismo e nel doppiogiochismo, nonche’ nella perdita di fiducia nei confronti di chi li pratica. Da questo punto di vista, mentre guardavo Andreotti ne “Il Divo” mi sembrava di rivedere molti atteggiamenti che osservo nella classe politica italiana, in particolare quelli dell’attuale primo ministro Berlusconi impegnato a sostenere la propria verita’ in molti processi. Il pensiero andava ai media italiani, per buona parte schierati con la politica e focalizzati sulle opinioni personali, sui dibattiti politici, sui giochi di potere.
Quello che sembra mancare in Italia e forse nella maggior parte dei paesi del mondo e’ una cultura scientifica di osservazione e rispetto dei fatti, applicata alla politica, al giornalismo, e in una certa misura a tutti i settori. Al contrario, si finisce spesso per tollerare che possano coesistere versioni diverse degli stessi fatti, una implicita ma massima dichiarazione di sfiducia nel metodo e nelle tecniche scientifiche. Cosi' facendo, si apre anche il campo a molte piu’ opinioni, soddisfando un legittimo e molto umano bisogno di parlare, di confrontarsi, di sfoggiare eloquenza, di divertirsi chiaccherando che anima gli italiani come tanti altri popoli.
Che tale esercizio di democrazia diretta (ciascuno e’ legittimato a dir la sua) si trasformi in ultima istanza in quella che Luca Ricolfi chiama "arte del non governo"?
Forse sono in molti coloro che pensano, come Andreotti, che la verita’ sia una cosa giusta, ma anche destabilizzante e potenzialmente sovversiva dello status quo. L’istinto umano di conservazione della propria posizione e del perseguimento del bene per se’ stessi sembra impedire a tutti noi di dire sempre la verita’ e di cercarla in quello che ci circonda.
Spesso ci mancano il tempo e gli strumenti per registrare e descrivere appropriatamente i fatti della vita. Spesso ce lo impediscono le nostre emozioni.
Nonostante tutto, siamo forse tutti d'accordo nel pensare che la verita’, in fin dei conti, sia una cosa giusta. Questa, secondo me, e’ una cosa straordinaria.
A proposito di contraddizioni:
si noti come i contenuti di questo articolo siano in apparente contraddizione con quanto sostenuto in "Scienza del passato?" Ma ne siamo veramente sicuri? Ah, se fosse tutto facile...