venerdì 23 aprile 2010

Sulle orme della verita'

L’altra sera ho visto “Il Divo”, film di Paolo Sorrentino sulla vita del plurice primo ministro italiano Giulio Andreotti. Oltre che la sperimentazione nelle tecniche e nella narrativa, mi hanno colpito i contenuti. Wikipedia scrive: "Di Andreotti il regista mette in rilievo alcuni caratteri, tra cui la tensione tra falsità e verità, che Andreotti risolve solitamente nell'ironia. In Andreotti appare la gestione spregiudicata del potere e la ricerca dell'oblio della verità, al fine di preservare l'ordine costituito”.
Con "Il Divo", Sorrentino e’ arrivato a toccare un tema a me molto caro: la verita’ e il suo ruolo sociale, e forse anche anti-sociale stando al pensiero di Andreotti. Ne ho preso spunto per riflettere su quella che e’ la mia visione in merito: ora faccio un passo indietro e vi racconto la mia storia...

Il bagaglio etico e la formazione scientifica mi hanno portato a sposare la “missione” di ricercatore e comunicatore della verita’, cosi’ come avviene per tanti scienziati, giornalisti ed investigatori. Al riguardo, in questi pochi anni di esperienza, ho imparato che l'ostacolo forse piu' grande per comprendere la realta’ del mondo in cui viviamo e’ quello del liberarsi dai propri pregiudizi, aprendosi a recepire e vedere anche quello che non vorremmo.
E’ un passaggio che ha poco a che vedere con la razionalita’ scientifica, quanto piuttosto al rapporto dell’uomo con il proprio equilibrio emotivo e con l’immagine di se’ stesso. Sembra che tutti i comuni mortali, e in misura maggiore coloro che piu’ sentono l’esigenza di sentirsi importanti e rispettati, siano alla costante ricerca di rassicurazione sulle proprie teorie e opinioni sul mondo. Il “so di non sapere” e’ destabilizzante, l’uomo potrebbe esserne terrorizzato se si rendesse conto che in fin dei conti ha ben poco controllo sul mondo.

La mia limitata esperienza mi ha insegnato che il metodo scientifico, quando applicato con la massima competenza e rigore, puo’ aiutare l’uomo ad acquisire uno sguardo piu’ obiettivo e meno pregiudiziale. Al cuore del metodo scientifico risiedono la demarcazione e la descrizione dei fatti del mondo, senza la messa in gioco di emozioni, ipotesi o teorie, ma limitandosi a una pedante lista di caratteristiche e misure. Cosi’ facendo, ho scoperto che i fatti del mondo si compongono di tanti elementi, che spesso si contraddicono tra loro quando cerchiamo di interpretarli con un’unica teoria e ad un unico livello.
Si prenda l’attuale processo di globalizzazione economica: al riguardo si possono osservare elementi contradditori, in quanto tale globalizzazione da una parte favorisce l’emancipazione dalla poverta’ per milioni di esseri umani, dall’altra la perdita di identita’ personale e culturale di numerosi altri. Se da una parte gli ideologi del mercato libero rimarcano il primo aspetto, dall'altro gli ideologi conservatori islamici rimarcano il secondo: uno scienziato o una persona poco sovrastrutturata e libera da pregiudizi, per esempio un bambino, sosterebbero che entrambi hanno ragione. Ma quanto e’ dura convivere con la multivalenza e la complessita’ delle cose! Il piu' delle volte sono gli scienziati in prima battuta a non riuscirci, cercando rassicurazione nelle teorie e nelle scuole di pensiero.

Ed e’ cosi’ che mi sono innamorato della verita’, di quel percorso che cosi’ come l’ho descritto puo’ portare l’uomo non solo ad ammirare la straordinaria complessita’ del mondo, ma anche a comprendere che forse, in fin dei conti, la conoscenza e la ragione risiedono dappertutto e sono di tutti. Ed e’ per questo che mi fa riflettere la visione di Andreotti per cui, citando da Wikipedia, “tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta”.

Non ho di certo l’esperienza per poter interpretare una tale opinione, a differenza di chi come Andreotti ha vissuto in prima persona certe dinamiche di controllo e amministrazione della cosa pubblica. Penso pero' al rischio che tale paura nei confronti della trasparenza e della verita’ possa degenerare nell’oscurantismo e nel doppiogiochismo, nonche’ nella perdita di fiducia nei confronti di chi li pratica. Da questo punto di vista, mentre guardavo Andreotti ne “Il Divo” mi sembrava di rivedere molti atteggiamenti che osservo nella classe politica italiana, in particolare quelli dell’attuale primo ministro Berlusconi impegnato a sostenere la propria verita’ in molti processi. Il pensiero andava ai media italiani, per buona parte schierati con la politica e focalizzati sulle opinioni personali, sui dibattiti politici, sui giochi di potere.

Quello che sembra mancare in Italia e forse nella maggior parte dei paesi del mondo e’ una cultura scientifica di osservazione e rispetto dei fatti, applicata alla politica, al giornalismo, e in una certa misura a tutti i settori. Al contrario, si finisce spesso per tollerare che possano coesistere versioni diverse degli stessi fatti, una implicita ma massima dichiarazione di sfiducia nel metodo e nelle tecniche scientifiche. Cosi' facendo, si apre anche il campo a molte piu’ opinioni, soddisfando un legittimo e molto umano bisogno di parlare, di confrontarsi, di sfoggiare eloquenza, di divertirsi chiaccherando che anima gli italiani come tanti altri popoli.
Che tale esercizio di democrazia diretta (ciascuno e’ legittimato a dir la sua) si trasformi in ultima istanza in quella che Luca Ricolfi chiama "arte del non governo"?

Forse sono in molti coloro che pensano, come Andreotti, che la verita’ sia una cosa giusta, ma anche destabilizzante e potenzialmente sovversiva dello status quo. L’istinto umano di conservazione della propria posizione e del perseguimento del bene per se’ stessi sembra impedire a tutti noi di dire sempre la verita’ e di cercarla in quello che ci circonda.
Spesso ci mancano il tempo e gli strumenti per registrare e descrivere appropriatamente i fatti della vita. Spesso ce lo impediscono le nostre emozioni.
Nonostante tutto, siamo forse tutti d'accordo nel pensare che la verita’, in fin dei conti, sia una cosa giusta. Questa, secondo me, e’ una cosa straordinaria.


A proposito di contraddizioni:
si noti come i contenuti di questo articolo siano in apparente contraddizione con quanto sostenuto in "Scienza del passato?" Ma ne siamo veramente sicuri? Ah, se fosse tutto facile...

sabato 10 aprile 2010

Appunto dall'Olanda

Mi si schiudono le orecchie quando l’aereo buca la fitta coltre di nubi che divide l’Olanda dal cielo. La geometria visibile dal finestrino non inganna: linee rette, canali e forme squadrate per proteggere la terra dal mare, la campagna dalla citta’, i centri abitati da quelli commerciali. Di sera, le serre brillano di luce gialla punteggiando la tavola del paesaggio.

Una volta a terra mi imbarco sui chilometrici tapis roulant del mega-aereporto di Schiphol: hostess bionde, robuste e sorridenti sfilano al mio fianco, mentre una voce meccanica di donna accompagna il tragitto verso il nastro bagagli: “mind your step”, attenti al passo. Valigia pronta, mi dirigo verso la stazione ferroviaria sotterranea che collega Schiphol a tutta l'Olanda. Monto in treno e il mio orologio si sincronizza sul futuro: suono ovattato dei binari; grattacieli squadrati e futuristici con i centri di ricerca, design e marketing di grandi aziende multinazionali; macchine che procedono sincronizzate sull’autostrada parallela alla ferrovia. I viaggiatori cercano di non parlare ma sfoggiano sguardi immersi in se’ stessi e disinteressati a tutti gli altri. Poi Amsterdam: una festa di biciclette, una festa di giovani, una festa di tram, una festa di pittoreschi ma troppo perfetti edifici in mattone rosso scuro. Una poesia disciplinata e pulita, fatta di canali e di biciclette, di poca emozione e di molta logica.

Sono quasi 6 anni che frequento regolarmente Amsterdam e l’Olanda, per studio e per lavoro. Ho ancora pero' la sensazione di non comprendere appieno il paese, di avere trovato il bandolo della matassa per sbrogliarne il filo rosso. L’apparenza sembra non ingannare, perche’ tutto si concilia in Olanda: il PIL con la sostenibilita’ ambientale; l’efficienza sul lavoro con il godersi la vita; la sperimentazione con la tradizione; l’alta tecnologia con la produzione culturale; la ricchezza con la frugalita’ e l’equita’ sociale; la riservatezza con la trasparenza e il fare tutto alla luce del sole.
E’ forte la tentazione di vedere nel paese un modellino di quello che dovrebbe essere il mondo, e c’e’ da augurarsi che sempre piu’ persone e leader globali possano arrivare a conoscere questo magico equilibrio dell’Olanda.

Allo stesso tempo, piu’ frequento il paese piu’ comprendo la mentalita' degli abitanti. Sul lavoro, hanno sempre riscosso la mia ammirazione per una grande attenzione alla professionalita', raramente accompagnata da eccessiva serieta' quanto piuttosto da un atteggiamento cordiale, amichevole ed attento a mettere a proprio agio gli interlocutori.
Allo stesso tempo, dopo qualche anno arrivo a cogliere le intenzioni alla base di molti comportamenti e mi rendo conto di quanto esse non siano sempre umanamente edificanti come si possa pensare. Sembra che dietro ciascuna azione si nasconda un calcolo di massimizzazione del proprio vantaggio personale e dell’impiego dei propri soldi. Mai come in Olanda mi sembra di cogliere il significato piu’ profondo dei concetti di opportunismo e di business.

Il permissionismo del sessantotto ha profondamente marcato la traiettoria del paese, ma se oggi in Olanda esistono i coffee shop e i quartiere a luci rosse e’ anche e soprattutto perche’ si tratta di un’enorme opportunita’ commerciale. Il porto di Rotterdam e’ nodo strategico per il traffico di droga verso l’Europa e il mondo, mentre Amsterdam ha sfruttato la libera circolazione delle droghe leggere e del sesso come leva di marketing per diventare una delle capitali mondiali del turismo. Perche’ lasciare dei mercati cosi’ vasti ad esclusivo profitto delle mafie?
Andare in bicicletta e’ anche un modo per risparmiare i soldi della benzina e del mezzo pubblico. Perche’ mai lasciare il monopolio di questa opportunita’ agli appassionati e ai meno abbienti?
D’altronde, l’Olanda con i suoi pochi milioni di abitanti e’ stata ed e’ tuttora una delle piu’ grandi potenze commerciali del mondo. Nell’enorme area metropolitana del Randstad “l’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Max Weber si respirano nell’aria.

L’altra faccia della filosofia dominante della tolleranza e del “vivi e lascia vivere” sembra essere quella del “problema tuo non e’ problema mio”. Ho imparato sulla mia pelle, sul lavoro, quanto la compassione sia un concetto poco compreso. In molte occasioni, i miei interlocutori sono rimasti completamente sordi alle mie ragioni, per quanto legittime queste potessero essere state, continuando senza scrupoli ad avanzare le loro richieste nei miei confronti. Se il problema tuo non e’ problema mio, il concetto di aiuto sembra non essere necessario: una volta che codifichiamo i ruoli, definendo cosa spetta a te e cosa a me, non ci resta che attenervici. Venirci incontro? Cosa vuol dire?
La mia esperienza ad Amsterdam mi ha fatto conoscere la difficolta’ di negoziare con persone che, in buona fede, si sono dimostrate determinate a spillare tutto il possibile e a non mollare l’osso fino a quando questo non fosse completamente spolpato.

La razionalita’ che fa dell’Olanda il paese ordinato, supermoderno ed efficiente che possiamo ammirare sembra essere la stessa che rende chiuso il cuore di molte persone. Il binario della ragione e della logica sembra tenerle incollate al calcolo e all’interesse personale, rendendo loro piu’ difficile attivare il binario dell’emozione, della compassione, dell’irrazionalita’ e, in definitiva, dell’amore. Da questo punto di vista, credo che grande rispetto vada portato all’Italia e ai popoli latini (e a chissa' quanti altri popoli del mondo): spesso confusionari ma dotati di grande cuore. Allenati nella capacita’ di “sentire” le persone e il mondo, e di lasciarsi muovere da questo sentimento. Ho conosciuto persone cosi' anche in Olanda, ma come forse in tutta la sfera umana e culturale il punto non e’ se certi caratteri siano presenti o meno, ma in che misura e quanto spesso lo siano.
In Italia ci si lamenta a ben vedere dell’eccesso di garantismo, di lassismo e di pietas cristiana nella sfera pubblica, caratteristiche che tengono il paese lontano da una maggiore giustizia ed efficienza sociale. Potremmo pero’ rincuorarci del fatto che dietro a tali pratiche si nasconde uno spirito di compassione profondamente umano, lo stesso olio che lubrifica le nostre interazioni sociali nella vita quotidiana.

E poi viene il business, l’attivita’ privata a fini commerciali.
L'osservazione e la mia limitata esperienza imprenditoriale di lancio di una fondazione in Olanda mi hanno portato ad alcune considerazioni. Mi hanno confermato anzitutto la straordinaria positivita' dell'iniziativa privata, come ambito di azione che consente alle persone di mettere il proprio talento, la propria energia e il proprio tempo al servizio di quello che e’, nel bene o nel male, un bisogno della collettivita’. Una palestra di socialita’ e di umanita’, che lega dipendenti e collaboratori in un destino comune, quello della propria azienda. Allo stesso tempo, mi hanno fatto cogliere il rischio di rimanere imprigionati dentro un canale utilitaristico: ogni azione diventa funzionale a uno scopo da raggiungere, tutto il resto “non conta”, tutti gli altri “non contano”, e’ materia per gli idealisti. Prima di accorgesene, l'attenzione puo' diventare selettiva, si trattengono le tesi piu’ convenienti alla propria causa mentre quelle scomode ci sfilano difianco inosservate. Mi viene la tentazione di pensare che, se fatta in un certo modo, l'attivita’ commerciale possa contribuire ad asciugare le emozioni delle menti piu’ predisposte alla razionalita’, cosi’ come forse avviene per chi studia ingegneria. A volte mi spiego cosi’ il panorama di sguardi distanti, distantissimi, che mi accoglie quando scendo dal treno alla stazione di Amsterdam Sud-World Trade Center.
Poi c'e' la questione dei soldi. Dell'auto-controllo verso una tentazione che sembra irresistibile e per certi aspetti al di sopra delle capacita’ umane di arricchirsi quando ce n’e’ la possibilita’, di afferrare la banconota che sventola davanti agli occhi. E’ frutto dell’amore per la vita, in fin dei conti: in apparenza, equivale a dare a se’ stessi l’opportunita’ di accedere e accumulare quanto di piu’ meraviglioso questo mondo abbia da offrire. E’ il mors tua vita mea: piu’ tu dipendente mi chiedi, piu’ togli a me datore di lavoro.

Ricordo i miei primi messaggi dall’Olanda all’Italia: “Mi sento privilegiato nel poter vivere e lavorare in una societa’ cosi’ avanzata”. Continuo a pensarlo, ma piu’ viaggio piu’ mi rendo conto che l’oro puo’ luccicare ovunque, ma il mondo perfetto sembra proprio non esistere.
Per quanto imperfetto, pero’, questo mondo non finisce mai di sorprendermi.