venerdì 4 giugno 2010

Stati sovrani contro mercato globale

La recente crisi finanziaria greca mi offre l’occasione di riflettere sul mutato rapporto tra stati sovrani e mercato finanziario globale. Mi dico: qualcosa deve pur essere cambiato se un’intera nazione del mondo economicamente avanzato si trova sull’orlo della bancarotta...La Germania e altri governi europei vengono chiamate a soccorso ed e’ cosi’ che comincia un’inedita battaglia tra stati e mercati.

Utilizzo la mia limitata conoscenza per ricostruire i fatti e vederci un po’ piu’ chiaro. In anni recenti il governo greco, come quello di molti altri paesi del mondo, decide di incrementari l'emissione di obbligazioni: prendera' a prestito del denaro attraverso i mercati finanziari, ad integrare gli introiti delle tasse. La Grecia potra' utilizzare il surplus di risorse in molti modi: per tenere basse le tasse, per aumentare gli investimenti nei settori pubblici creando nuovi posti di lavoro, per elargire incentivi alle imprese, per ripagare i debiti passati, e chissa’ per quante altre azioni positive. Un’intera nazione potra' permettersi di vivere al di sopra dei propri mezzi, come chi utilizza la carta di credito perche’ non ha disponibilita’ immediata sul conto corrente.

Poi improvvisamente l'ingranaggio si inceppa: dall’analisi dei dati macro-economici del paese, si fa largo il timore che la Grecia possa non riuscire a restituire i soldi che si e’ fatta prestare. Cosi’ come la nostra banca comincia a temere che i nostri stipendi sempre uguali non basteranno a saldare lo scoperto, chi ha investito nelle obbligazioni greche teme che l’economia di quel paese non si stia espandendo abbastanza per generare la capacita’ di ripagare i debiti contratti.

E qui comincia la crisi, basata sui ricatti e sulle profezie destinate a auto-adempiersi. Gli investitori dicono: “Se voi stati dell’Unione Europea non prestate ulteriori soldi alla Grecia per accrescere il conto che da un momento all’altro potrebbe precipitare in rosso, allora noi ritiriamo i soldi dal conto, costringendo la Grecia alla bancarotta”.
I governi europei sono improvvisamente sotto ricatto: se non facessero come richiesto dai mercati la profezia negativa si avvererebbe. Migliaia di investitori e broker da tutto il mondo si affretterebbero a richiedere il proprio denaro, attraverso un click del mouse. Gli investitori sanno che i governi europei sono ricattabili: il fallimento della Grecia si ripercuoterebbe negativamente sull’Euro e sull’intera economia europea basata sull’interdipendenza tra i paesi; potrebbe altresi’ avere implicazioni negative sull’ intera economia globale (che include quella europea), innestando una crisi di fiducia che drenerebbe i mercati finanziari delle risorse necessarie alla crescita. In tale situazione di tensione si intromettono le agenzie di rating: attraverso il loro parere indipendente (sulla carta), tolgono punti alle obbligazioni greche, facendo presumere che queste non siano piu’ un investimento sicuro come prima.

Come va a finire?
Cosi’ come nel 2008 il crack delle banche americane fu arginato dalla “generosita’” di Obama, cosi’ nel 2010 tocca alla Merkel e ai governi europei tamponare la crisi della Grecia. I soldi pubblici vengono dirottati dagli stati sovrani ai mercati internazionali, a causa di scelte rivelatesi infelici da parte della Grecia e di chi si e’ fatto creditore verso di lei.

Tale resoconto potrebbe considerarsi concluso, ma a ben pensarci solleva qualche importante punto interrogativo:

• Come ha fatto un paese come la Grecia, che con le Olimpiadi del 2004 sembrava avere definitivamente conquistato la credibilita’ del mondo, a ridursi in questo stato?
• Quali attori si celano dietro l’apparentemente anonimato dei mercati finanziari globali, diventati talmente potenti da mettere sotto ricatto gli stati sovrani?
• Che fine faranno i soldi pubblici investiti nei mercati finanziari? Se potessimo marchiarli e tracciarli uno a uno, capiremmo in quali tasche stanno transitando?

Provo ad affrontare le tre questioni una alla volta, per poi avviarmi verso la conclusione. La mia limitata conoscenza di questi fenomeni mi fa pensare che la parola chiave per capire cosa stia succendendo in Grecia sia “globalizzazione”. Globalizzazione come apertura generale delle transazioni commerciali a livello planetario che, tra altre, ha avuto due importanti conseguenze: da una parte ha favorito l’emergere dell’industria dei grandi paesi asiatici e di altri paesi in via di sviluppo, a discapito di quelli economicamente avanzati; dall’altra ha spinto molti stati, inclusi quelli del mondo avanzato come la Grecia, a ricorrere al prestito di denaro sui mercati internazionali. In alcuni casi i due fenomeni potrebbero manifestarsi come due faccie della stessa medaglia: se le mie attivita’ produttive non sono piu’ in grado di generare ritorni soddisfacenti sottoforma di tasse, io stato sovrano ricorro ai mercati internazionali per finanziare le mie attivita’ e la crescita economica.

Una tale lettura potrebbe valere per la Grecia cosi’ come per gli Stati Uniti, il Portogallo, l’Inghilterra e molti altri stati con un alto deficit pubblico. Eccezione farebbe l’Italia, non tanto perche’ il deficit non sia alto, quanto perche’ in quel caso il debito pubblico e’ piu’ in mano ad investitori italiani piuttosto che internazionali. L’Italia e’stata recentemente criticata per non avere mai sposato in pieno la globalizzazione (ricordate Fazio che cercava di impedire la vendita di Banca Antonveneta agli olandesi dell'ABN Amro?): alla luce del crack delle banche internazionali di investimento nel 2008 e quello degli stati sovrani nel 2010, possiamo forse riconsiderare quella scelta come oculata? Chiusa in se’ stessa e conscia dei propri limiti, l’Italia si preclude le opportunita’ della globalizzazione finanziaria, ma anche i rischi che questa porta con se’.

Seconda questione: l’identita’ dei mercati finanziari. Ormai lo diamo per scontato: li’ fuori, nel mondo virtuale, c’e’ qualcuno chiamato “mercato globale” che fa il buono e il cattivo tempo e decide le sorti di interi paesi. Ma da chi si compone tale mercato globale?
Di tutti: di privati cittadini che investono in propri risparmi in borsa, cosi’ come di investitori istituzionali, quali banche, assicurazioni, fondi pensione, hedge funds e molti altri. E’ ragionevole pero’ qualcuno conti piu’ di altri, detenendo quantitivi piu’ ampi di azioni e di obbligazioni, e acquisendo il potere indiretto di “pilotare” le decisioni degli altri attraverso le proprie. Il risultato di un comportamento collettivo puo’ essere irrazionale, ma e’ di certo basato sull’imitazione degli altri...Come gli stormi di uccelli si accodano ad un unico uccello a capo del gruppo, mi chiedo a chi spetti questo ruolo sui mercati internazionali: forse ai George Soros, Warren Buffet e Paul Wolker, coloro che Charles Morris chiama “i saggi e i maelstrom (correnti maestre) del mercato”? Forse alle agenzie di rating che tali saggi potrebbero influenzare?
Quel che e’ certo e’ che i comportamenti di tali leader non sempre sono esemplari, anche perche’ al momento la legge non vieta loro le speculazioni, tema che mi traghetta verso l’ultima questione (che fine fanno i soldi pubblici riversati nei mercati finanziari?)...

Oltre ad essere un luogo in cui i soldi si "bruciano” (per esempio quando le aziende quotate falliscono) o si “generano” (per esempio quando le stesse distribuiscono dividendi), la borsa e' anche un luogo in cui i soldi piu' semplicemente si tolgono o si mettono. Per semplicita’, penso alla borsa come a un calderone in cui un numero variabile di persone depositano o prelevano delle banconote; la quantita’ totale di banconote diminuisce o aumenta, ma il calderone resta sempre quello: cosi’ come i soldi non prendono fuoco, il calderone non si espande ne’ si restringe. Quello che alcuni mettono, altri prelevano, in un ciclo continuativo in cui alcuni si riempiranno le tasche di quello che altri si sono svuotati. In linea di principio, i soldi che il governo tedesco “deposita” nel calderone Grecia potrebbero essere presto “prelevati” dai fondi di investimento di George Soros: oggi la Germania acquista obbligazioni greche, facendone aumentare il prezzo; domani George Soros vende obbligazioni greche, beneficiando del prezzo alto ma facendolo al contempo diminuire; e magari dopodomani George Soros si ricompra lo stesso numero di obbligazioni, al nuovo prezzo piu’ basso (una mossa speculativa chiamata “short selling” o “vendita corta”).

Il problema nasce dal fatto che la Germania e’ costretta a sopportare tali pratiche speculative pur di contribuire alla causa globale, quella di riempire il calderone di piu’ banconote possibile per fare espandere l’economia (e un giorno auspicabilmente recuperare i propri soldi e forse guadagnarci). La Germania ha effettivamente provato a lanciare l’idea di proibire lo short selling: le borse hanno reagito prendendo la picchiata (improvviso e collettivo prelievo di banconote dal calderone), come si trattasse di un referendum mondiale sulla nuova proposta.
Ed e’ qui che si cela un paradosso della finanza globale: abbiamo costruito il formidabile strumento collettivo delle borse (che ci consente di mettere in comune i nostri soldi con quelli degli altri, per poi prestarli attraverso azioni e obbligazioni), ma non accettiamo il fatto che il gioco debba dotarsi di regole per prevenire le spinte egoistiche e accumulative.
Siamo difronte a un'opera incompleta?

Pensiamo che la "mano" invisibile del mercato sia sempre pronta a sistemare tutto, senza accorgersi che forse tale mano potrebbe dirottare sistematicamente i soldi in certe direzioni. Ultimamente questa mano e’ diventata talmente forte da riuscire a dirottare enormi quantita’ di fondi pubblici appartenenti agli stati sovrani, privandoli delle risorse che sarebbero state altrimente investite in servizi pubblici di ogni tipo. Che sia gia’ troppo tardi per fermarla? Obama e i leader europei ci stanno provando, attraverso la proposta di nuova regolamentazione; ma il futuro chiedera' in prima istanza a loro stessi, come capi di stati sovrani, piu' rigore e oculatezza nella gestione dei propri budget, per tornare a cavarsela con le proprie risorse e rompere la dipendenza dai mercati finanziari. E forse anche accettare di poter non essere piu' ricchi come prima, riconoscendo l'ascesa dei paesi emergenti mossi da simili legittime ambizioni.