In America è come se ti trovassi di fronte a uno strano paradosso.
Hai sicuramente la sensazione di essere "al centro del mondo", non solo perché vedi e incontri persone di qualsiasi razza e nazionalità d’origine, quanto anche perché ragioni sempre con una prospettiva e un raggio d’azioni globali. L’umanità intera deve beneficiare del tuo lavoro per il suo bene e progresso. Inoltre, grazie alla globalizzazione, le scelte politiche ed economiche degli Stati Uniti fanno sentire il loro influsso in tutti i paesi del mondo.
Allo stesso tempo però ti senti "fuori dal mondo", nel senso che percepisci che il paese in cui stai vivendo abbia un’idea un po’confusa o, meglio, iper-semplificata, di cosa c’è “out there”.
In America si ragiona spesso per macro-raggruppamenti: i latini, gli europei, gli asiatici; c’è quindi la speranza e la pretesa di fare del bene per l’umanità intera, senza sapere molto dell’incredibile varietà culturale che la compone. Gli americani pensano di conoscere le culture del mondo anche perché queste stesse culture sono rappresentate all’interno dei confini dell’America stessa, attraverso quelli che potrebbero essere definiti degli avamposti.
Loro stessi sono arrivati (prima o dopo) da tutte le parti del mondo ed è come se avessero deciso di fare della nuova terra un grande laboratorio per l’umanità, credendo di rappresentarla fedelmente. Alla domanda "Conoscete il mondo?" un americano potrebbe rispondere “We are the world”.
Sappiamo pero' quanto distante sia l’ovattata realtà del laboratorio dalla complessità e varietà del reale, quanto le condizioni sperimentali siano difficili da ricreare, quanto una qualunque variazione non prevista possa far fallire un qualsiasi esperimento. I recenti tentativi falliti di esportazione di democrazia e mercato in Iraq e Afghanistan dimostrano ancora una volta il peso dei fattori culturali e politici. Smentiscono una certa convinzione diffusa in America per cui "they all want to look like us!" (vogliono tutti diventare come noi), giustificata dall'avanzata globale di MTV, delle scarpe da ginnastica, di Internet.
In USA, invece, la stessa convivenza in uno stesso luogo di culture differenti ha fatto sì che, per evitare la paralisi, ci si dovesse accordare su protocolli semplici e concreti, andando oltre le singole specificità culturali che sarebbero state di impaccio per prendere decisioni e intraprendere nuove iniziative. Un processo di semplificazione culturale e inter-culturale che puo' pero' convivere con il tentativo di conservare l'autenticita' nell'ambito della vita privata.
E’ così che mi spiego il paradosso: in America sono al tempo stesso "al centro del mondo" ma anche "fuori dal mondo".
domenica 22 marzo 2009
giovedì 5 marzo 2009
Alla ricerca della perfezione
La recente esperienza in Austria mi ha dato modo di ragionare su perfezione e perfezionismo. Credo sia l’aspetto che a chiunque salti piu’ all’occhio appena varcato il confine, e piu’ ti relazioni con il paese, piu’ tale aspetto diventa rilevante e sofisticato nelle sue implicazioni. Ti sembra l’elemento chiave per capire l’intera cultura, quel movente che si ritrova all’origine di ogni cosa e ogni azione.
La perfezione in Austria si manifesta probabilmente su due versanti: il rapporto delle persone con la natura; il rapporto delle persone con la loro vita e tra di loro.
Per chi tende alla perfezione, la natura e’ soggetto “naturale” di attenzione: la sua bellezza e le sue infallibili leggi sono forse quello di piu’ vicino alla perfezione si possa osservare.
Da questo punto di vista, il contatto e l’immersione nella natura equivale per molti austriaci a una ricerca “divina”. Lo stesso si potrebbe dire della musica classica, presenza costante e finanche ossessiva, e di quell’incredibile silenzio che sovrasta ogni cosa non appena cala la notte (di giorno l’abitudine e’ quella di parlare poco e a bassa voce, quasi a volere mantenere sempre integra l’armonia). Tale “ricerca divina” ha reso i miei occhi l’Austria un posto straordinario, consegnandomi, con l’aiuto dei paesaggi incantati di Salisburgo, delle soddisfazioni e una percezione generale di armonia mai provati prima.
Quanto al rapporto delle persone con la loro vita e tra di loro,
la costante tensione alla perfezione si puo’ probabilmente misurare da due fattori. Da una parte in una continua opera di pianificazione della propria vita, per controllarne l’imprevedibilita’ e il caos e per raggiungere degli obiettivi, passo dopo passo. Dall’altra nell'adesione alle regole e al rispetto reciproco, come unico strumento per rendere prevedibile e armonioso il rapporto delle persone tra di loro. Il risultato complessivo e’ sotto gli occhi di tutti: una societa’ che prima di ogni altra cosa ti fa pensare di essere armoniosa.
Fino a qui il risvolto positivo. Che come sempre se ne porta dietro uno meno bello. La ricerca della perfezione ha infatti un costo molto alto, visto che il caos e’sempre in agguato: gli occhi del perfezionista tendono a vedere tutto imperfetto. Sorprende vedere una cameriera svuotare i posaceneri ogni qualvolta passi dal tavolo. Cosi’ come sorprendono due imbianchini che, alle prese con ogni tipo di nastro anti-smagliatura, impiegano 1 settimana per una tromba delle scale.
Inoltre, una rigida pianificazione delle proprie giornate e regolamentazione dei rapporti con gli altri rende tutto piu’ prevedibile, e la prevedibilita’ porta facilmente alla noia. Comporta prendersi molto sul serio, rendendo tutto piu’ gravoso, cosi’ che ogni piccolo imprevisto puo’ mandare in crisi e ogni piccola violazione della regola generare risentimento per gli altri. La noia e la mancanza di ironia (e auto-ironia) risultano piu’ evidenti nelle interazioni sociali e amichevoli, che poi contribuiscono cosi’ tanto alla qualita’ della vita. Da questo punto di vista, i poco perfezionisti e piu’ “compagnoni” italiani ridono molto e vivono piu’ leggeri.
Mi spingo oltre: quella stessa “ricerca divina” di cui accennavo prima potrebbe essere la stessa che ha contribuito (tra molte altre cose) a portare il popolo germanico al nazismo: la ricerca della perfezione e’ sfociata nel delirio di onnipotenza. I poveri uomini si sono assurti le prerogative di dio.
Solo l’ultima sera a Salisburgo l’ho capito.
Affacciato alla finestra ad ammirare la pace del quartiere, mi sono saputo dare una risposta: non c’e’ nulla di sbagliato li’ fuori; ma l’imperfezione e’ dentro la testa e il cuore delle persone.
Ed e’ bello cosi’.
La perfezione in Austria si manifesta probabilmente su due versanti: il rapporto delle persone con la natura; il rapporto delle persone con la loro vita e tra di loro.
Per chi tende alla perfezione, la natura e’ soggetto “naturale” di attenzione: la sua bellezza e le sue infallibili leggi sono forse quello di piu’ vicino alla perfezione si possa osservare.
Da questo punto di vista, il contatto e l’immersione nella natura equivale per molti austriaci a una ricerca “divina”. Lo stesso si potrebbe dire della musica classica, presenza costante e finanche ossessiva, e di quell’incredibile silenzio che sovrasta ogni cosa non appena cala la notte (di giorno l’abitudine e’ quella di parlare poco e a bassa voce, quasi a volere mantenere sempre integra l’armonia). Tale “ricerca divina” ha reso i miei occhi l’Austria un posto straordinario, consegnandomi, con l’aiuto dei paesaggi incantati di Salisburgo, delle soddisfazioni e una percezione generale di armonia mai provati prima.
Quanto al rapporto delle persone con la loro vita e tra di loro,
la costante tensione alla perfezione si puo’ probabilmente misurare da due fattori. Da una parte in una continua opera di pianificazione della propria vita, per controllarne l’imprevedibilita’ e il caos e per raggiungere degli obiettivi, passo dopo passo. Dall’altra nell'adesione alle regole e al rispetto reciproco, come unico strumento per rendere prevedibile e armonioso il rapporto delle persone tra di loro. Il risultato complessivo e’ sotto gli occhi di tutti: una societa’ che prima di ogni altra cosa ti fa pensare di essere armoniosa.
Fino a qui il risvolto positivo. Che come sempre se ne porta dietro uno meno bello. La ricerca della perfezione ha infatti un costo molto alto, visto che il caos e’sempre in agguato: gli occhi del perfezionista tendono a vedere tutto imperfetto. Sorprende vedere una cameriera svuotare i posaceneri ogni qualvolta passi dal tavolo. Cosi’ come sorprendono due imbianchini che, alle prese con ogni tipo di nastro anti-smagliatura, impiegano 1 settimana per una tromba delle scale.
Inoltre, una rigida pianificazione delle proprie giornate e regolamentazione dei rapporti con gli altri rende tutto piu’ prevedibile, e la prevedibilita’ porta facilmente alla noia. Comporta prendersi molto sul serio, rendendo tutto piu’ gravoso, cosi’ che ogni piccolo imprevisto puo’ mandare in crisi e ogni piccola violazione della regola generare risentimento per gli altri. La noia e la mancanza di ironia (e auto-ironia) risultano piu’ evidenti nelle interazioni sociali e amichevoli, che poi contribuiscono cosi’ tanto alla qualita’ della vita. Da questo punto di vista, i poco perfezionisti e piu’ “compagnoni” italiani ridono molto e vivono piu’ leggeri.
Mi spingo oltre: quella stessa “ricerca divina” di cui accennavo prima potrebbe essere la stessa che ha contribuito (tra molte altre cose) a portare il popolo germanico al nazismo: la ricerca della perfezione e’ sfociata nel delirio di onnipotenza. I poveri uomini si sono assurti le prerogative di dio.
Solo l’ultima sera a Salisburgo l’ho capito.
Affacciato alla finestra ad ammirare la pace del quartiere, mi sono saputo dare una risposta: non c’e’ nulla di sbagliato li’ fuori; ma l’imperfezione e’ dentro la testa e il cuore delle persone.
Ed e’ bello cosi’.
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