Sono a Venezia e apprendo che la citta’ ospita due nuove esposizioni di arte contemporanea. Facoltose fondazioni hanno investito nell’allestimento di edifici storici di una citta’ che, sede della Biennale, si candida a diventare uno dei punti di riferimento mondiali per gli amanti della disciplina.
Nonostante il mio amore per l’arte, non sono pero’ sicuro che questa sia una notizia che mi faccia interamente piacere. Piuttosto, mi da’ l’occasione di riflettere sulla complessita’ dell’arte contemporanea: in quanto arte, mi dico che dovrebbe essere prima di ogni altra cosa “ricerca del bello”. Piu’ spesso, pero’ - per quella che e’ la mia molto limitata esperienza - mi trovo difronte a opere fondate sulla provocazione, sulla contro-intuizione, sulla morbosita’, dalle quali non riesco a provare quell’emozione di appagamento ed equilibrio che associo alla bellezza.
Quando le capisco, il piu’ delle volte ne apprezzo l’idea; mi capita di simpatizzare con le intenzioni, le denuncie politiche o le sofferenze interiori dell’artista, la cui creazione puo’ svolgere funzione terapeutica. Altre volte, prendono il sopravvento la frustrazione di non capire, nonche’ il disturbo che mi deriva da tutto il brutto dell’opera.
Mi chiedo che cosa possa avere portato l’arte e gli artisti ad accettare tanto allontamento dalla bellezza. Di primo acchito, mi viene da pensare che nelle societa’ piu’ moderne e relativiste si dia la precedenza al rispetto dell’interiorita’ dell’artista (per quanto idiosincratica ed auto-referenziale questa possa essere) sui canoni condivisi di bellezza. Mai come nell’arte contemporanea mi sembra che gli artisti si facciano carico di tutto il male del mondo.
Inoltre, pur nascendo come grido di dolore contro una societa’ massmediatica e globalizzata a senso unico, sembra che molte opere contemporanee diventino vittima della stessa dinamica, per cui per apparire devi “spararla sempre piu’ grossa”.
Il tutto porterebbe comunque ad un arricchimento culturale se l’arte contemporanea fosse una delle tante praticate e visibili, ma a mio avviso puo’ essere problematico se questa diventa la corrente predominante, nelle arti visive cosi’ come in quelle figurative.
Altrimenti, che fine fa il bello?
In molti argomenterebbero in qualche modo che “non e’ bello cio’ che e’ bello ma cio’ che piace”.
Io credo che la bellezza viva di se’ stessa oltre che di cio’ che piace. Se e’ vero che tutti gli uomini sono uguali, deve pur essere vero che tutti gli uomini siano dotati della facolta’ di percepire la bellezza. Allo stesso tempo, la diverse culture, educazioni, interessi e sensibilita’ ci portano a trovare ulteriore bellezza in cose diverse.
Credo infine che il potere della bellezza non si debba mai sottovalutare.
Nella sua capacita’ di gratificare l’uomo cosi’ come in quella di predisporlo al bene. Lo sanno bene architetti ed urbanisti: il brutto cosi’ come il degrado non agevolano le persone a prendersi cura dei luoghi in cui vivono. Una cosa che mi fa sempre riflettere e’ che tutt’oggi nel mondo nessuno pensi piu’ a costruire le Firenze, mentre tutti si affrettino a far nascere la prossima citta’ di grattacieli. Quando in Corea mi hanno chiesto che consiglio dare agli studenti si apprestavano a progettare la nuova citta’ del futuro, ho risposto senza esitazione: si puo’ trovare in molti modi, ma in quello che costruirete non dimenticatevi di cercare la bellezza.
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