mercoledì 17 febbraio 2010

Normativa? No, grazie.

Rifletto su una certa diffidenza della societa’ moderna verso la pianificazione del proprio futuro attraverso divieti e normative. Prendo spunto da alcune recenti esperienze...

Lo scorso aprile sedevo al seminario su “Innovazione nei mercati globali”, organizzato dall’associazione SwissNext a Boston. In quell’occasione, nessuno dei partecipanti accennava a una possibile nuova normativa globale a tutela dell’ambiente e di migliori condizioni lavorative nei paesi piu’ poveri. Come descritto nel mio articolo su “Mercato comune, regole diverse” le multinazionali hanno la liberta’ di spostare le proprie sedi produttive in quei paesi in cui e’ lecito inquinare di piu’ e chiedere di piu' a una manodopera poco protetta.

Lo scorso dicembre partecipavo alla tavola rotonda su “Mobilita’ eco-sostenibile in montagna”, per il ciclo SWOMM, a Genova. In quell’occasione, venivano proposte molte soluzioni: un trenino ecologico per esplorare le valli al posto della propria automobile; una piu’ intelligente pianificazione della rete viaria; l’affitto di biciclette tecnologiche che vanno da sole. Nessuno dei partecipanti, eccetto me, ha posto la questione in termini di normativa: non si potrebbe bandire l’accesso ai centri di montagna ai veicoli che inquinano oltre un certo livello?

La scorsa settimana assistevo on-line ad alcune sessioni dello scorso World Economic Forum, tenutosi a fine gennaio a Davos. Ogni relatore proponeva la propria ricetta per uscire dalla coda lunga della crisi economica, rilanciare la crescita globale, evitare che crolli finanziari simili a quello del 2008 possano ripresentarsi in futuro. Seppure molti dibattiti siano in corso, nessun relatore tra quelli ascoltati proponeva una nuova normativa per tenere sotto controllo i mercati finanziari.

Regolarmente mi capita di sorvolare la pianura veneta in avvicinamento a Venezia Tessera. Tipicamente, proveniendo da nord, si sbuca dalla Valsugana sul Vicentino orientale, poi in discesa sulla citta’ di Padova, la bassa, Chioggia e finalmente in virata verso il Marco Polo.
Tante volte ammirata dall’alto, ma ancora non sono in grado di trovare una regolarita’ e delle forme ricorrenti in questa ampia sezione di Veneto centrale. Un esempio da manuale di “urban sprawl” o “citta’ diffusa”, in cui sono mancate le regole per la pianificazione urbana e del paesaggio. Ciascuno si e’ costruita la villetta, il residence o il capannone industriale dove ha voluto, forte di permessi erogati dalle singole micro-entita’ amministrative locali piuttosto che da un ente comune per la pianificazione del territorio.

In tutti i quattro casi descritti la riluttanza per la normativa porta a conseguenze negative, in particolare per “gli anelli deboli” del sistema. Nell’economia globale, a pagare sono l’ambiente e la qualita’ della vita della manodopera nei paesi piu’ poveri. Nei centri di montagna, a pagare e’ l’ambiente: probabilmente, a Cortina e Courmayeur la densita’ di SUV e’maggiore che in citta’.
Nella finanza globale, a pagare sono i governi nazionali, chiamati a salvare le banche anche con i soldi dei cittadini e delle imprese. Nella pianura veneta, a pagare e’ l’ambiente, cosi’ come il sistema dei trasporti messo a dura prova dall’urbanizzazione diffusa.

Certo, se le cose vanno cosi’ un motivo valido ci deve pur essere.
Molto probabilmente, sono le forze di generazione del denaro e del lavoro a fare la parte del leone. Nell’economia globale, i governi non vogliono mettere i bastoni tra le ruote alle multinazionali, portatrici di lavoro per i propri elettori cosi' come di tangenti. In montagna, gli albergatori non si inimicano i proprietari di SUV, clienti redditizi. Nella finanza globale, i governi dipendono dalle banche, fornitrici di risorse al sistema produttivo che a sua volta crea posti di lavoro e introiti fiscali. In Veneto, gli amministratori locali non vogliono rinunciare agli introiti collegati ai permessi di costruzione e all’edilizia.

Il problema, pero', potrebbe risiedere ancora piu’ a monte.
Coloro che sono chiamati a introdurre nuove regole potrebbero non vedere ne’ le alternative ne’ le vie di mezzo, per la mancanza di strumenti e conoscenza, nonche' di coraggio nella sperimentazione. Chi l’ha detto che nuove norme economiche e finanziarie globali - cosi’ come divieti alla circolazione di automobili in montagna e costruzione di edifici in pianura - debbano necessariamente essere di freno alle attivita’ economiche? Chi l’ha detto che i SUV non possano essere lasciati nei parcheggi degli hotel, e un sistema intelligente di navette non possa trasportare i vacanzieri dove vogliono arrivare?

Sul lungo periodo la tutela dell’ambiente e del territorio e’ destinata a pagare, dal momento che generera’ piu’ qualita’ della vita, piu’ attrattivita’ verso le imprese piu’ avanzate, piu’ turismo, minori problemi di mobilita’. In materia, i nostri vicini di Austria, Germania e nord Europa fanno scuola nel mondo.
Sembra pero’ che l’ottica predominante sia poco lungimirante: fin che si puo’, continuiamo cosi. Perche’ mi dovrei interessare al futuro della pianura veneta se i miei elettori risiedono solo nel mio comune e le prossime elezioni saranno tra meno di 5 anni? Perche’ dovrei promuovere nuove normative per l’economia e la finanza globale, sei i miei elettori mi chiedono solo creazione di posti di lavoro e i miei azionisti mi chiedono solo di aumentare il fatturato?

Difficile evitare “the tragedy of commons”, la tragedia dello spazio comune in cui l’arricchimento dei singoli impoverisce la collettivita’ a cui appartengono. In occidente abbiamo a cuore la liberta' individuale, non le norme e i divieti, ma a volte non ci rendiamo conto di quanto qualche liberta' possa limitare il bene comune. Forse l’unica soluzione, un po’ cinese, e’ quella “dell’uno per tutti, tutti per uno”, in cui si ribilancia un sistema predisposto all’anarchia delle tante piccole decisioni. In Veneto si parla di citta’ metropolitana, in Europa di comunita’ europea, nel mondo di governance globale: si riconosce l’esigenza di accorpare i livelli decisionali, ma spesso vengono a mancare il coraggio e la fiducia per il grande salto.

Diceva Churchill: “La democrazia e’ la peggiore forma di governo, eccetto per tutte le altre forme che si sono sperimentate”. Credo che fino a quando non ci convinceremo del contrario la democrazia sia condannata a rimanere tale.

domenica 7 febbraio 2010

Un brusco atterraggio

The hard landing, il brusco atterraggio.
Mi viene in mente questa pregnante metafora quando penso al ciclo attuale del governo Obama. Passata la lunga fase di idealismo e messaggio universale raccolto con entusiasmo in tutto il mondo, chi volava alto si ritrova improvvisamente con le alti schiacciate per terra. Ed e' probabilmente disorientato sulle nuove posizioni da adottare.

I recenti sviluppi nel rapporto USA-Cina in qualche modo riassumono bene tale parabola. Tutto comincia quando Barack Obama conduce la sua prima visita di stato a Pechino: proclama parita’ nella relazione e rispetto reciproco. Tali posizioni, mantenute in altre visite nel mondo, gli frutteranno il premio Nobel per la pace.
Poi arrivano la minaccia nucleare in Iran e il summit mondiale sul clima. In entrambi i casi, la Cina non coopera: rifiutandosi di condannare l’operato di Teheran e giocando al ribasso sull’accordo di Copenhagen. Il canale di fiducia aperto da Obama non e’ stato corrisposto. E adesso che cosa si fa?
L’altro giorno apprendo che l’amministrazione Obama approva la vendita di una partita di armi a Taiwan, per un valore di 6 miliardi di dollari. Uno smacco cocente per la Cina, che sta gia’ preparando le contromosse.

Quello che osservo e’ che Obama parte con le alte intenzioni, mai poi sembra incappare in basse strategie. Storia simile in Afghanistan: chi poteva immaginarsi che la stessa persona che ha rivoluzionato il linguaggio della politica nel segno della speranza, potesse approvare la spedizione in Afghanistan di ulteriori 30.000 soldati, molti dei quali non torneranno piu’ a casa?
Certo, le cose potrebbero essere piu’ complicate di quello che sembrano. E’ rischioso speculare sulle intenzioni personali senza conoscerne tutti i retroscena: tanti fattori potrebbero entrare in gioco nelle scelte di un capo di stato, dalla convenienza politica alla sudditanza verso le lobby, dall’essersi montato la testa a chissa’ quali altri ragioni a noi oscure. Resta pero’ il fatto che il recente operato di Obama sembra incarnare il fallimento del suo idealismo iniziale.

In un recente discorso pubblico in occasione della cerimonia pubblica del commencement (consegna delle lauree), Susan Hockfield, presidente del Massachusetts Institute of Technology, afferma che la missione del MIT e’ quella di fare dei propri studenti dei “pragmatic idealists”, degli idealisti pragmatici. Che cosa intende dire?
Avendo trascorso molti anni al MIT, credo di coglierne il significato: un idealista pragmatico e’ colui che non solo persegue i propri ideali, ma che riesce a trovare delle forme inedite per metterli in pratica. Strumento principe dell’idealista pragmatico e’ l’inventiva: in fin dei conti se l’ideale e’ ancora tale, vuol dire che non si e' ancora trovato il modo per trasformarlo in realta’. Servono fantasia ed idee per costruire nuovi mondi possibili.

Quanta fantasia c’e’ nella decisione di Obama di “sgridare” la Cina vendendo armi a Taiwan? A me sembra una mossa piuttosto ovvia. In un mondo globale in cui la rete di relazioni economiche e politiche tra paesi e’ sempre piu’ estesa ed intricata, con piu' inventiva si sarebbero forse trovate altre soluzioni. (sono idealista? lasciatemi pensare, sono sicuro che prima o poi un’idea mi verra’...)

Analisi a parte, credo che il nuovo linguaggio portato da Obama rimanga un regalo prezioso all’umanita’. Forse si tratta della restituzione di un idealismo in sintonia con il mondo del ventunesimo secolo, anche a dispetto delle ragioni di Hillary Clinton secondo cui Obama mancava di esperienza per governare. Nessuno ci impedisce di sperare che, in un futuro, pragmatismo ed idealismo, fantasia e concretezza, non possano trovare maggiore conciliazione.