domenica 7 febbraio 2010

Un brusco atterraggio

The hard landing, il brusco atterraggio.
Mi viene in mente questa pregnante metafora quando penso al ciclo attuale del governo Obama. Passata la lunga fase di idealismo e messaggio universale raccolto con entusiasmo in tutto il mondo, chi volava alto si ritrova improvvisamente con le alti schiacciate per terra. Ed e' probabilmente disorientato sulle nuove posizioni da adottare.

I recenti sviluppi nel rapporto USA-Cina in qualche modo riassumono bene tale parabola. Tutto comincia quando Barack Obama conduce la sua prima visita di stato a Pechino: proclama parita’ nella relazione e rispetto reciproco. Tali posizioni, mantenute in altre visite nel mondo, gli frutteranno il premio Nobel per la pace.
Poi arrivano la minaccia nucleare in Iran e il summit mondiale sul clima. In entrambi i casi, la Cina non coopera: rifiutandosi di condannare l’operato di Teheran e giocando al ribasso sull’accordo di Copenhagen. Il canale di fiducia aperto da Obama non e’ stato corrisposto. E adesso che cosa si fa?
L’altro giorno apprendo che l’amministrazione Obama approva la vendita di una partita di armi a Taiwan, per un valore di 6 miliardi di dollari. Uno smacco cocente per la Cina, che sta gia’ preparando le contromosse.

Quello che osservo e’ che Obama parte con le alte intenzioni, mai poi sembra incappare in basse strategie. Storia simile in Afghanistan: chi poteva immaginarsi che la stessa persona che ha rivoluzionato il linguaggio della politica nel segno della speranza, potesse approvare la spedizione in Afghanistan di ulteriori 30.000 soldati, molti dei quali non torneranno piu’ a casa?
Certo, le cose potrebbero essere piu’ complicate di quello che sembrano. E’ rischioso speculare sulle intenzioni personali senza conoscerne tutti i retroscena: tanti fattori potrebbero entrare in gioco nelle scelte di un capo di stato, dalla convenienza politica alla sudditanza verso le lobby, dall’essersi montato la testa a chissa’ quali altri ragioni a noi oscure. Resta pero’ il fatto che il recente operato di Obama sembra incarnare il fallimento del suo idealismo iniziale.

In un recente discorso pubblico in occasione della cerimonia pubblica del commencement (consegna delle lauree), Susan Hockfield, presidente del Massachusetts Institute of Technology, afferma che la missione del MIT e’ quella di fare dei propri studenti dei “pragmatic idealists”, degli idealisti pragmatici. Che cosa intende dire?
Avendo trascorso molti anni al MIT, credo di coglierne il significato: un idealista pragmatico e’ colui che non solo persegue i propri ideali, ma che riesce a trovare delle forme inedite per metterli in pratica. Strumento principe dell’idealista pragmatico e’ l’inventiva: in fin dei conti se l’ideale e’ ancora tale, vuol dire che non si e' ancora trovato il modo per trasformarlo in realta’. Servono fantasia ed idee per costruire nuovi mondi possibili.

Quanta fantasia c’e’ nella decisione di Obama di “sgridare” la Cina vendendo armi a Taiwan? A me sembra una mossa piuttosto ovvia. In un mondo globale in cui la rete di relazioni economiche e politiche tra paesi e’ sempre piu’ estesa ed intricata, con piu' inventiva si sarebbero forse trovate altre soluzioni. (sono idealista? lasciatemi pensare, sono sicuro che prima o poi un’idea mi verra’...)

Analisi a parte, credo che il nuovo linguaggio portato da Obama rimanga un regalo prezioso all’umanita’. Forse si tratta della restituzione di un idealismo in sintonia con il mondo del ventunesimo secolo, anche a dispetto delle ragioni di Hillary Clinton secondo cui Obama mancava di esperienza per governare. Nessuno ci impedisce di sperare che, in un futuro, pragmatismo ed idealismo, fantasia e concretezza, non possano trovare maggiore conciliazione.

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