venerdì 20 novembre 2009

Liberta' d'informazione...ma quale?

Per quanto provi a scappare, ci sara’ sempre una notizia in grado di raggiungermi. In Italia sembra impossibile sottrarsi al bombardamento mediatico su omicidi passionali da un lato, passioni e malefatte del primo ministro dall’altro. La veemenza e regolarita’ con la quale tale tipologia di notizie viene proposta mi fa pensare a una deriva mediatica; e' una saturazione che mi toglie parte della liberta' di informarmi...

Al di la’ delle importanti ragioni ed emozioni in gioco, mi chiedo che cosa possa avere spinto i media a imboccare una strada tanto univoca. Perche’ si sacrificano la possibilita’ di informare e far crescere l'opinione pubblica a favore di morbosita’ e accanimento?
Sembra piu’ facile appurare l'influenza della politica sull’informazione, piuttosto che le responsabilita’ dei media stessi. L’ossessione per gli omicidi passionali non ha connotazioni politiche, ma forse la dice lunga rispetto al potere dei media di imporre un tema, in questo caso con rischi di imitazione che plausibilmente stanno gia’ producendo i propri effetti.

Seppure la posta in gioco sia alta, perche’ si parla tanto del primo ministro invece che di qualcos’altro? Conducendo delle crociate contro o a difesa di una persona, si rinuncia a un ruolo propositivo, edificante e di crescita dell’opinione pubblica. Pensare di dover salvare un paese da una persona o con una persona e' legittimo, ma forse si smette di credere che il modo migliore di farlo sia far maturare l’opinione pubblica in modo equilibrato, verso il prossimo voto.
Non ci si pone piu' il problema che tanta devianza e accanimento possano danneggiare l’immagine che il paese ha di se’ stesso, nonche' l’autostima e la serenita’ delle persone. Forse non ci si chiede piu' se quello che si fa e' piu' dannoso o di beneficio al paese.

Una cosa che mi ha fatto sempre fatto riflettere rispetto all’influenza esercitata dai media sulla societa’ e’ il fatto che si privilegino sistematicamente le notizie cattive su quelle buone. Che il mondo "faccia schifo" sembra un luogo comune, quando il contrario e’ probabilmente molto piu’ vero. Spesso i media fanno passare le eccezioni per normalita’: nel mondo odierno innamorato dell’istantanea dell’immagine, si potrebbe finire per credere che quello che si vede sia la realta’ dei fatti. L’emozione sopraffa’ la riflessione. Pochi media si preoccupano di accompagnare le immagini con statistiche fatte scientificamente, da cui si dedurrebbe che quello che si vede rappresenta lo 0.01% della realta’. Il resto e’ probabilmente fatto di pace, di equilibrio e di persone oneste.
Le belle notizie, gli esempi edificanti, la bonta’ ordinaria e straordinaria piu’ raramente vengono coperte dai media, rispetto a tutto quello che e’ negativo. Mi dico: se le cose vanno cosi’ ci saranno certamente solide ragioni, storiche, psicologiche, commerciali e molte di piu'.
Mi chiedo: perche’ le cose dovrebbero andare necessariamente cosi’?

Alcuni notiziari americani aprono con le immagini sulla meraviglia delle recenti nevicate e con i premio consegnato all'insegnante piu' innovatore della scuola locale. Non si parla pero' ne’ dei soldati morti in Iraq ne’ degli ultimi conflitti politici. L’ignoranza del male e’ rassicurante, ma non contribuisce a far maturare l’opinione pubblica. Oltre che una questione di qualita’, chiedendosi a quali notizie dare spazio, e’ forse quindi ancora piu’ produttivo farne una questione di quantita’, chiedendosi quanto spazio dare a notizie di stampo diverso. Lo stesso approccio potrebbe essere adottato con i diversi linguaggi: ancora prima di preferire un'immagine a un testo a una statistica, e’ forse piu’ opportuno chiedersi quanto spazio riservare a ciascun linguaggio e come integrarli verso una maggiore completezza.

Forse al giorno d’oggi diamo talmente per scontata la presenza ubiqua ed incessante dei media, che ci dimentichiamo spesso di quanto essi possano diventare fonte di apprendimento e di esempio. Da un punto di vista di fruizione oraria, per molti di noi i media rappresentano la piu’ importante istituzione educativa, e come tali andrebbero trattati. Che ci piaccia o meno, i media sono una scuola, sono un’universita’, sono dei genitori e dei maestri di vita. Cosi' come ci parla un padre o un insegnante, cosi' ci parlano anche un conduttore televisivo, l'autore di un videoclip, e il redattore di un sito Internet.
Credo che i giornalisti abbiano la straordinaria opportunita’ di proporci una societa’ migliore: nell’epoca del web 2.0, la responsabilita’ ricade su tutti noi.

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