giovedì 3 dicembre 2009

Complessita': che fare?

Obama finalmente delibera: 30.000 soldati per vincere la guerra in Afghanistan. Michael Ware, inviato della CNN a Kabul, commenta la notizia con un mezzo sorriso sulla bocca: l’invio di nuovo soldati puo’ essere utile, ma e’ lontano dall’essere sufficiente per risolvere i problemi dell’Afghanistan. Michael si scalda, il suo e’ un approccio da “frontline”, giornalista al fronte disilluso che comprende la complessita’ della situazione perche’ ci vive dentro.

L’Afghanistan e’ indirettamente anche il terreno della grande battaglia tra India e Pakistan, che supportano fazioni rivali. L’Afghanistan e’ obiettivo di egemonia economica e culturale dell’Iran. Con grande lucidita’, Ware ci persuade ad ampliare il punto di vista prima di pensare alle possibili soluzioni. Si smarca dalla corrente dominante nei media che vuole opinionisti e pubblico schierati a favore o contro la guerra, come se il miglioramento della situazione potesse solo dipendere da questa. L'Afghanistan e' un problema complesso e richiede una strategia interdisciplinare, a molteplici livelli.

Complessita’ e interdisciplinarita’.
Due concetti tanto importanti quanto forse abusati nel giornalismo contemporaneo, cosi’ come nella letteratura scientifica. Due chiavi di volta per comprendere il mondo di oggi. Da ricercatore nelle scienze sociali, ho posto grande attenzione a entrambi. Definirei "complessita’" il fatto che le determinanti di un problema sono normalmente molte piu’ di quanto ci possiamo immaginare, e il risultato della loro combinazione non e’ necessariamente la somma delle parti. "Interdisciplinarita’" il bisogno di mettere in gioco diverse prospettive e discipline per la comprensione del problema complesso, sia nel suo merito tecnico che nel suo ruolo sistemico.

Crediamo che le cose siano semplici?
Prendiamo una questione apparentemente meno sofisticata della guerra in Afghanistan, quella del lancio di un nuovo modello di blue jeans sul mercato globale. L’azienda produttrice dovra’ considerare che un paio di jeans al contempo sono: un insieme di tessuti e materiali; un oggetto di moda; il risultato di un processo industriale manifatturiero; un prodotto su uno scaffale con un prezzo; un capo di abbigliamento per pubblici diversi, e via di questo passo. Piu’ tale merito tecnico viene approfondito in modo coordinato dagli esperti disciplinari, maggiori saranno le chances di successo. Ed e’ cosi’ che la Levi's del caso si avvale di scienziati dei materiali, designer, esperti di logistica e controllo di gestione, esperti di marketing, e cosi’ via.

Sara’ sufficiente tale interdisciplinarita’ a fare del nuovo prodotto un successo?
Non necessariamente, il lancio di un nuovo modello di blue jeans resta una questione piu’ complessa... Dipendera’ anche infatti dall’abbinabilita’ di quel pantalone con altri capi di abbigliamento; dalle fluttuazioni del cambio Euro-Dollaro che renderanno quel prodotto piu’ o meno economico in certi paesi; dalle mode emergenti a livelli globale e dalle strategie della concorrenza; dalla capacita’ di spesa dei clienti, che verra’ a sua volta influenzata da variabili macroeconomiche come l’espansione o contrazione dei salari, e via di questo passo.
Il “sistema mondo” in continua evoluzione rende l'operazione una scommessa ancora piu’ grande di quanto essa gia’ sia...

Ho l’impressione che se da un lato la complessita’ e l’interdisciplinarita’ tecnica vengano sempre piu’ comprese e gestite, dall’altro la complessita’ e l’interdisciplinarita’ sistemica restino questioni ancora spesso sottovalutate.
Paradossalmente, questo potrebbe essere piu’ vero nelle nazioni anglosassoni piu’ avanzate del mondo, dove la forma mentis e’ dominata un approccio scientifico e tecnico che alcuni non a caso definiscono “riduzionista” della complessita’. Una ragione di ordine pragmatico c’e’: le dinamiche sistemiche o “di ordine superiore” sono meno facilmente individuabili e controllabili di quelle tecniche, quindi...in definitiva...why caring? Perche’ preoccuparsene se comunque non ci si puo’ fare molto?

Una tale conclusione potrebbe essere quantomai rischiosa. Torniamo in Afghanistan...
Sul tavolo di Obama saranno sicuramente arrivati numerosi rapporti tecnici sulla complessita’ della guerra in Afghanistan e sull’esigenza di un strategia interdisciplinare: le caratteristiche del nemico e del territorio; il dispiego dei soldati e delle armi; le diverse tattiche adottabili; la tenuta psicologica dei soldati, e cosi’ via. Auspicabilmente, sono anche arrivati alcuni rapporti sistemici: il ruolo della guerra sullo scacchiere geo-politico mondiale; gli interessi di Iran, India e Iran; le conseguenze della guerra sull’economia mondiale; le implicazioni sull’elettorato americano e sull’immagine di Obama nel mondo.

Nutrendo forti speranze in Obama, non posso che augurarmi che la scelta di dislocare 30.000 nuovi soldati sia giustificata da un ragionamento strategico che contempli l’evoluzione di tutte le variabili. Resta sempre il dubbio che forse Obama avesse potuto fare a meno di immischiarsi con tutta questa complessita’ e fare una scelta etica contro la guerra, scelta che avrebbe a sua volta avuto ripercussioni sistemiche...

Insomma, e’ un bel casino.
Paradossalmente, piu’ il mondo si fa complesso, piu’ i “quick fix”, le soluzioni tecniche rapide all’americana potrebbero trovare adito. Se tanto le ripercussioni sono imprevedibili, meglio perlomeno agire e lanciare un messaggio inequivocabile, no?
Mi auguro che sempre piu' giornalisti, scienziati e consulenti possano distanziarsi da tale approccio univoco: per comprendere il mondo di oggi occorre uno sforzo supplementare di sintesi della complessita’.

Ma anche con le migliori analisi sul tavolo, c'e' forse da augurarsi che i potenti del mondo mettano in gioco anche il proprio cuore al momento di prendere le decisioni piu' importanti.
Forse un mondo con piu' etica e piu' umanita' sarebbe anche un mondo piu' semplice.

Un mio articolo su questi temi verra' pubblicato in un libro di prossima uscita intitolato "Visions of Transdisciplinarity'", insieme ai contributi di alcuni Premi Nobel (!)
Il libro e' il risultato del Dialogo Mondiale sulla Conoscenza a cui ho partecipato nel 2008:

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