venerdì 6 agosto 2010

Etica ed economia

Non posso che rimanere sorpreso nel leggere un articolo recentemente pubblicato sull’Economist, rivista portavoce dell’establishment economico mondiale, dal titolo “Against fairness”, ovvero contro l’equita’, la bonta’ e la giustizia. Lo rileggo con attenzione, sospettando che tra le righe si possa nascondere qualche importante indizio per far luce sulla questione del comportamento etico nella sfera economica.

C’e’ qualcosa di intrinsecamente anti-etico alle radici della scienza economica? E’ da molti anni ormai che molti economisti si arrovellano sulla questione etica, consapevoli che - a dispetto di tanto progresso tecnico e tecnologico - la maggior parte dei problemi economici e politici del mondo odierno si possa continuare ad attribuire ad una carenza di etica da parte di chi esercita il potere.

Vi propongo qualche estratto dell’articolo apparso il 3 luglio scorso: “Un senso di equita', come ogni genitore sa, si sviluppa irritantemente presto nella vita”; “la domanda di equita' sembra essere inscritta in tutti gli esseri umani, [.....] ma il fatto che tutti credono nell'equita' e’ un segnale che c’e’ qualcosa di intrinsecamente sbagliato in tale nozione; [....] per esempio, per alcuni equita' significa giocare secondo le regole e lasciar vincere il migliore, per altri far si’ che ognuno riceva nelle stesse quantita’”. E ancora: “Cosa c’e’ esattamente di equo e giusto nel limitare il commercio globalizzato? O di ingiusto nel lasciare che le persone di successo godano dei frutti del loro lavoro senza tasse punitive?”; “Noi rifiutiamo la vasta e fumosa definizione di equita' a favore di parole piu’ precise che significano quello che dicono”.

Tale pensiero si puo’ interpretare a molti livelli. Leggendo il resto dell’articolo, se ne comprende un obiettivo concreto: avanzare un’invettiva contro il governo inglese, che sta valutando la possibilita’ di alzare le tasse sui redditi piu’ alti e porre un tetto alle retribuzioni auto-conferitesi dai dirigenti di grandi banche e aziende. A supporto delle tesi proposte, si argomenta la relativita’ del concetto di equita’: come possiamo metterci d’accordo su un modo univoco per definirle e misurarle? Chi puo’ arrogarsi il diritto di decidere chi ha ragione e chi ha torto?

Al di la’ delle strade percorribili, quello su cui mi interessa riflettere e’ il fatto che i concetti di male e di bene, di giusto e di sbagliato sembrano non trovare spazio nella visione dell’Economista. Si assume che al mondo esiste solo quello che c’e’, vale a dire cio’ che si puo’ osservare e quantificare empiricamente; non la conoscenza normativa, relativa alle norme di comportamento e ai sentimenti delle persone. Dal mio punto di vista, tale ottica e' positiva allorquando consente di essere meno giudiziali e pre-giudiziali nei confronti delle persone e delle cose del mondo; ma e’ anche negativa se conduce alla tolleranza e all’accettazione del male per gli altri.

In assenza di riferimenti etici, spirituali e di buon senso comune, sembra che l’uomo alla domanda “perche’?” possa sempre ribattere “perche’ no?””. Perche’ arricchirsi a dismisura quando tale accentramento di ricchezza lascia tante altre persone in poverta’?...Perche’ no? Perche’ camuffare i mutui ad alto rischio in strumenti finanziari derivati che possono portare inconsapevoli compratori a mandare in fumo i propri risparmi?...Perche’ no? Perche’ sterminare le razze impure attraverso il nazismo se tale condotta semina morte e distruzione?...Perche’ no?
La mancanza di buon senso e di conoscenza normativa lascia un vuoto che l’uomo puo’ riempire a proprio piacimento; sembra essere la ricerca del potere per se’ - sottoforma di ansia di sentirsi migliore degli altri per contare qualcosa nel mondo - a condurre l’uomo a scelte poco etiche.

L’economia e’ una disciplina in cui l’asetticita’ e il realismo della scienza incontrano l’intenzionalita’ e la trascendenza del comportamento umano. L’uomo viene trattato come materia di studio, come se fosse un pezzo di natura o un’altra variabile macro-economica alla pari del lavoro e del capitale. Da economista, reputo tale approccio profondamente meritevole di aprirci le porte a una piu’ grande conoscenza della collettivita’ umana e del suo ruolo nella complessita’ del mondo. Allo stesso tempo, credo anche che tale visione economica e “terrena” non possa restare l’unica a nostra disposizione e diventare materia di fede, ma debba invece essere affiancata a conoscenze e sensibilita’ di natura etica e spirituale. Lasciandoci guidare dal quel buon senso comune a tutti che forse andrebbe ricercato e coltivato con molta piu’ cura.

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