Non posso che rimanere sorpreso nel leggere un articolo recentemente pubblicato sull’Economist, rivista portavoce dell’establishment economico mondiale, dal titolo “Against fairness”, ovvero contro l’equita’, la bonta’ e la giustizia. Lo rileggo con attenzione, sospettando che tra le righe si possa nascondere qualche importante indizio per far luce sulla questione del comportamento etico nella sfera economica.
C’e’ qualcosa di intrinsecamente anti-etico alle radici della scienza economica? E’ da molti anni ormai che molti economisti si arrovellano sulla questione etica, consapevoli che - a dispetto di tanto progresso tecnico e tecnologico - la maggior parte dei problemi economici e politici del mondo odierno si possa continuare ad attribuire ad una carenza di etica da parte di chi esercita il potere.
Vi propongo qualche estratto dell’articolo apparso il 3 luglio scorso: “Un senso di equita', come ogni genitore sa, si sviluppa irritantemente presto nella vita”; “la domanda di equita' sembra essere inscritta in tutti gli esseri umani, [.....] ma il fatto che tutti credono nell'equita' e’ un segnale che c’e’ qualcosa di intrinsecamente sbagliato in tale nozione; [....] per esempio, per alcuni equita' significa giocare secondo le regole e lasciar vincere il migliore, per altri far si’ che ognuno riceva nelle stesse quantita’”. E ancora: “Cosa c’e’ esattamente di equo e giusto nel limitare il commercio globalizzato? O di ingiusto nel lasciare che le persone di successo godano dei frutti del loro lavoro senza tasse punitive?”; “Noi rifiutiamo la vasta e fumosa definizione di equita' a favore di parole piu’ precise che significano quello che dicono”.
Tale pensiero si puo’ interpretare a molti livelli. Leggendo il resto dell’articolo, se ne comprende un obiettivo concreto: avanzare un’invettiva contro il governo inglese, che sta valutando la possibilita’ di alzare le tasse sui redditi piu’ alti e porre un tetto alle retribuzioni auto-conferitesi dai dirigenti di grandi banche e aziende. A supporto delle tesi proposte, si argomenta la relativita’ del concetto di equita’: come possiamo metterci d’accordo su un modo univoco per definirle e misurarle? Chi puo’ arrogarsi il diritto di decidere chi ha ragione e chi ha torto?
Al di la’ delle strade percorribili, quello su cui mi interessa riflettere e’ il fatto che i concetti di male e di bene, di giusto e di sbagliato sembrano non trovare spazio nella visione dell’Economista. Si assume che al mondo esiste solo quello che c’e’, vale a dire cio’ che si puo’ osservare e quantificare empiricamente; non la conoscenza normativa, relativa alle norme di comportamento e ai sentimenti delle persone. Dal mio punto di vista, tale ottica e' positiva allorquando consente di essere meno giudiziali e pre-giudiziali nei confronti delle persone e delle cose del mondo; ma e’ anche negativa se conduce alla tolleranza e all’accettazione del male per gli altri.
In assenza di riferimenti etici, spirituali e di buon senso comune, sembra che l’uomo alla domanda “perche’?” possa sempre ribattere “perche’ no?””. Perche’ arricchirsi a dismisura quando tale accentramento di ricchezza lascia tante altre persone in poverta’?...Perche’ no? Perche’ camuffare i mutui ad alto rischio in strumenti finanziari derivati che possono portare inconsapevoli compratori a mandare in fumo i propri risparmi?...Perche’ no? Perche’ sterminare le razze impure attraverso il nazismo se tale condotta semina morte e distruzione?...Perche’ no?
La mancanza di buon senso e di conoscenza normativa lascia un vuoto che l’uomo puo’ riempire a proprio piacimento; sembra essere la ricerca del potere per se’ - sottoforma di ansia di sentirsi migliore degli altri per contare qualcosa nel mondo - a condurre l’uomo a scelte poco etiche.
L’economia e’ una disciplina in cui l’asetticita’ e il realismo della scienza incontrano l’intenzionalita’ e la trascendenza del comportamento umano. L’uomo viene trattato come materia di studio, come se fosse un pezzo di natura o un’altra variabile macro-economica alla pari del lavoro e del capitale. Da economista, reputo tale approccio profondamente meritevole di aprirci le porte a una piu’ grande conoscenza della collettivita’ umana e del suo ruolo nella complessita’ del mondo. Allo stesso tempo, credo anche che tale visione economica e “terrena” non possa restare l’unica a nostra disposizione e diventare materia di fede, ma debba invece essere affiancata a conoscenze e sensibilita’ di natura etica e spirituale. Lasciandoci guidare dal quel buon senso comune a tutti che forse andrebbe ricercato e coltivato con molta piu’ cura.
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