Il treno sguscia sornione tra valli e gallerie, con una dolcezza che ben si addice al paesaggio alpino ma ben poco all'importanza del percorso. Occorrono oltre 4 ore per raggiungere Villach da Vienna: tante se rapportate ai Km, perfette per approfondire una riflessione.
Sono reduce da due giornate a seguito di un gruppo di accademici austriaci, per convincere il governo locale della bonta’ di una proposta per un nuova scuola internazionale di dottorato. Argomento: le scienze e tecnologie dell’informazione geografica (GIS), perlopiu’ software che consentono la visualizzazione e l’analisi su mappa di un paesaggio, di una citta’ e di qualunque altra entita’ che abbia una componente geografica.
La missione si e’ rivelata piu’ ardua di quanto tutti ci potessimo augurare. La commissione, costituita da esperti americani e inglesi, non ha perso tempo a porre le domande piu’ basilari e difficili: in che modo si favorira' il lavoro collaborativo tra i ricercatori? Quali sbocchi professionali dopo il dottorato? Perche’ il GIS e’ importante per il mondo e perche’ la ricerca accademica e’ importante per il suo sviluppo?
Mentre la proposta mirava a legittimare il giovane settore dei GIS come nuova disciplina accademica, la commissione voleva sapere come il progetto di ricerca si mettesse al servizio del mondo che cambia. Nell’epoca in cui l'innovazione che conta viene messa a disposizione di tutti da Google - basti pensare a Google Earth - e da poche altre multinazionali del software, quale valore aggiunto puo’ offrire l’universita’ in termini di nuovi sviluppi scientifici e tecnologici?
Si tratta di una domanda che e’ forse sempre esistita, per tutti i settori. Per le discipline ingegneristiche che si occupano di nuove tecnologie digitali riveste pero' un'importanza speciale: le buone pratiche non sono ancora molte, ma il rischio di uno scimmiottamento o futile rincorsa del mondo accademico rispetto a quello dell’industria e’ molto reale. Per formulare delle risposte plausibili, occorre a mio avviso fare un passo indietro, chiedendosi quale relazione fondamentale leghi il mondo della scienza a quello della tecnologia.
Comincio col proporvi la mia personale e limitata sintesi delle rispettive missioni. Il fine della scienza e’ la comprensione dei fenomeni fisici e sociali, e la sua materia prima sono i dati empirici. Il fine della tecnologia e’ il superamento dei limiti del mondo fisico; la sua materia prima sono i processi meccanicistici.
Una distinzione di questo tipo farebbe chiarezza su molto lavoro concettuale interpretato liberamente come “scientifico” o “tecnologico” da parte di molti ricercatori accademici cosi’ come di ricercatori industriali. Renderebbe altresi' piu’ trasparente uno dei legami fondamentali tra scienza e tecnologia: le nuove tecnologie possono essere utilizzate per generare nuovi dati empirici utili alla comprensione dei fenomeni fisici e sociali; a loro volta, le scoperte scientifiche possono essere utilizzate per superare i limiti del mondo fisico. Due esempi classici: l’invenzione del microscopio (tecnologia) spiana la strada a una nuova comprensione dei fenomeni fisici (scienza); la scoperta dell’uranio (scienza) spiana strada all’invenzione delle tecnologie atomiche (tecnologia).
Alla luce di tale distinzione, si dovrebbe forse sostenere che ad ognuno spetta il proprio mestiere e quindi l’universita’ si deve occupare di scienza, mentre l’industria di tecnologia? Prima di tirare conclusioni al riguardo, preferisco fare un altro passo indietro e chiedermi quale differenza fondamentale distingua l’universita’ dall’industria relativamente all’attitudine all’innovazione. Osservo che l’approccio industriale e’ perlopiu’ reattivo e orientato: dato un problema e una domanda di mercato (reale o potenziale), si reagisce orientando tutto il proprio lavoro verso una soluzione. Al contrario, l’approccio universitario e’ perlopiu’ creativo e non orientato: data una disciplina, si esplorano creativamente alcune strade che possono portare alla costruzione di una nuova conoscenza, strade che non sono orientate verso alcun fine che non sia quello puramente conoscitivo.
Sembra essere l’industria, piuttosto che l’universita’, a contemplare il maggior numero di eccezioni: ad ogni dipendente di Google e’ consentito di impiegare il 20% del proprio tempo lavorativo su un progetto a proprio piacimento. Tale creativita’ e assenza di orientamento potrebbe portare alla scoperta di nuove strade percorribili dall’azienda, per rimanere sempre al fronte dell’innovazione. Al contrario, la creazione di nuove aziende “start-up” a partire da contesti accademici sembra rimanere incredibilmente difficile: il ricercatore e’ abituato a guardare al funzionamento al mondo attraverso le categorizzazioni della propria disciplina scientifica, piuttosto che come insieme di “catene del valore” che compongono i differenti mercati. Sa che il computer funziona grazie a questo, quello e quell’altro processo; non sa chi compie questa, quella e quell’altra operazione affinche’ il computer arrivi sullo scaffale del negozio sotto casa.
Per tirare le somme potremmo affermare che: l’universita’ si occupa prevalentemente di scienza, l’industria prevalentemente di tecnologia; l’universita’ si fonda sulle discipline scientifiche, l’industria sui mercati. Mi dico: se le cose stanno cosi’, ci devono sicuramente essere delle ottime ragioni. Mi chiedo: e’ tutto questo abbastanza? Sono discipline e mercati in grado di ottimizzare l’alleanza tra scienza e tecnologia, in un'epoca di problemi globali dalle dimensioni gigantesche e sconosciute, come surriscaldamento climatico e degrado ecologico, sradicamento culturale, migrazioni di massa e conflitti religiosi, poverta’ estrema e divari sociali?
La mia risposta e’ no. Abbiamo ancora bisogno delle universita’ e delle industrie cosi’ come le conosciamo, ma allo stesso tempo ci servono delle entita’ nuove. Abbiamo ancora grande bisogno delle facolta’ di scienze naturali, economia e ingegneria, cosi’ come del mercato automobilistico, quello informatico e quello energetico. Ci serve pero' anche un generale allineamento e re-orientamento della scienza cosi’ come dell’industria verso i problemi piu’ pressanti del mondo.
Penso a una “facolta’ e industria dei cambiamenti climatici”, una “facolta’ e industria della poverta’ e delle disuguaglianze sociali”, una “facolta’ e industria della globalizzazione industriale e finanziaria”. Penso a nuove organizzazioni al servizio del mondo prima ancora di una disciplina o di un mercato, finalizzate a produrre nuova scienza cosi’ come nuova tecnologia, costituite da gruppi di lavoro misti
- universita’/industria, da tutte le discipline e da tutti i mercati - chiamati a convergere verso un unico problema definito in modo inequivocabile.
In loro assenza, una disciplina e un mercato potrebbero "disfare" cio' che e' stato preziosamente guadagnato da un altro: prendono piede le tecnologie energetiche alternative, ma intanto l’industria di telecomunicazioni e computer genera consumi energetici stratosferici (ricaricare i dispositivi elettronici e alimentare le server farms); la psicologia assume la bonta' di nuovi modelli di vita, mentre l'economia continua a demandare assunzioni opposte.
Credo che il futuro non possa che sorprenderci al riguardo, l’Arizona State University sta gia’ pensando in questi termini. Il nuovo mondo e’ tutto da inventare. Un mondo che riconcili gli opposti: teoria e pratica, creativita’ e reattivita’, conoscenza disinteressata e orientamento ai problemi reali.
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