domenica 26 aprile 2009

Angels of Harlem

Domenica di Pasqua 2009.
Siamo a New York e decidiamo di accogliere l’invito di due amici: vediamoci alle 10.30 alla Convent Baptist church, 145esima e Convent, Harlem.
Siamo puntuali, la messa inizia le 11 ma la chiesa e’ gia’ gremita. Siamo bianchi e veniamo indirizzati verso l’alto, tribuna di destra, dove troviamo posto accanto a un gruppo di giovani, probabilmente europei, in maglietta e scarpe da ginnastica.

La posizione e’ privilegiata: le navate centrale e di sinistra, cosi’ come il grande altare con un semicerchio di posti rialzati, sono perfettamente visibili. Assistiamo all’arrivo degli ospiti: famiglie allargate di colore, vestite a festa, si fanno accompagnare al loro posto dalle damigelle, anch’esse di colore e di una certa eta’, vestite completamente di bianco, guanti e cappelli compresi. Il panorama e’ una festa di colori: gli abiti delle donne risplendono di arancio, azzurro, verde e rosso; cappelli e turbanti meritano uno sguardo attento, uno a uno, da quanto sono belli e originali; uomini e bambini in doppiopetto siedono gli uni accanto agli altri, indirizzando sguardi orgogliosi e modesti allo stesso tempo. Magari devono ancora saldare il debito per le migliaia e migliaia di dollari che indossano, ma l’importante e’ che oggi siano all’altezza dell’evento. Ci fanno sfigurare, a noi bianchi, ora ci appare fin troppo chiaro il perche’ ci abbiano spedito su.

Comincia la celebrazione.
Non fanno in tempo a essere impostati i primi canti, che gia’ qualcuno, di spontanea iniziativa, si alza in piedi, scuote il pugno e grida “Jesus is great!”. Qualcunaltro gli risponde “yea, Jesus is great!” e finanche l’intera delegazioni di celebranti (il “Father” e i suoi consiglieri), schierata ordinatamente sul palco, riprende lo spunto per dettagliare il perche’ abbiano ragione. Presto cogliamo l’essenza della messa gospel: una festa comunitaria, un rito catartico per dar sfogo alla propria fede e sentirsi una sola famiglia. Quando fanno il loro ingresso trionfale le danzatrici, quando il coro di bambini intona il primo canto, e’ il tripudio: donne il lacrime, vecchietti con le mani al cielo, gente in cammino per la chiesa in cerca degli abbracci di amici e parenti. Mentre i piu’ piccoli continuano a dormire, a pancia in su sulle panche come se fossero nel divano di casa, ma con il nodo della cravatta accuratamente intatto.
Il piu’ progressista dei nostri preti non riuscirebbe neanche a immaginarsi la festa a cui stiamo assistendo. Altro che rituale scontato e formale, qui la fede e’ vissuta come massima emozione e viene esternalizzata in tutti i modi possibili!

Improvvisamente, dopo quasi un’ora di "creazione", prende il microfono il Father. E’ arrivato il momento della concentrazione. Il tono e’ inflessibile, le parole scandite, il volume altissimo. Ogni concetto viene scattato con la piu’ assoluta precisione, come una fotografia capace di immobilizzare un soggetto sfuggente. La folla incoraggia, approva, incita e, soprattutto, ascolta. Attenta, attentissima, col cuore prima ancora che con la testa. E’ li’ per crederci, per commiserarsi e sperare, per sentirsi uguale agli altri.
Il tema del sermone e’ unico: fatti contro fede. I fatti ci vogliono tutti pieni di debiti, la fede vuole che la vita vada avanti intatta lo stesso, perche’ Dio e’ sempre li’ con noi. I fatti vogliono che la droga continui a farsi largo tra i giovani, la fede vuole che Dio continui ad accoglierli tra le sue braccia. I fatti, massima espressione della visione razionalistica e moderna della vita, non ci costringono a smettere di credere.

Il marketing e la scienza vogliono farci pensare che non ci serva piu’ il divino, argomenta il prete. Ora cerca la provocazione, carica di aggressivita’ i toni, costruisce una retorica dello scontro. Il suo ruolo e’ affrontare a viso aperto la delegittimazione, prevenire il dubbio che attende dietro l’angolo ogni fedele all’uscita della chiesa. E’ dio contro scienza. Emozionalita’ contro razionalita’. Compassione contro egoismo. L’America di oggi sembra intrappolata in questa logica binaria, del bene e del male, del sei con me o sei contro di me, dei dualismi alla Bush che Obama cerca cosi’ accuratamente di far dimenticare.

Indipendentemente dalle opinioni che ognuno di noi puo’ avere, usciamo dalla chiesa consapevoli di avere vissuto un’esperienza unica e travolgente. Coerente e contraddittoria, sincera e costruita. I toni fanatici della predica non sono sufficienti a farci riconsiderare la straordinaria umanita' della celebrazione. Per il mondo dei bianchi, controllati e calcolatori per attitudine e cultura, sembra una lezione di vita.

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