L'altra mattina ho preso parte a un’interessante tavola rotonda su come promuovere sostenibilita’ ambientale e equita’ sociale, ripensando al ruolo del mondo della produzione come motore dell’innovazione. Argomento di grande attualita’, visto che Obama ha pianificato grandi investimenti per lo sviluppo dei nuovi settori energetici, verso maggiore efficienza e sfruttamento di fonti rinnovabili.
Intorno al tavolo siedevano rappresentanti di diversi settori: accademia; societa’ di consulenza per il design di prodotto; venture capitalist (agenzie che partecipano al finanziamento di nuove aziende tecnologiche); agenzie di produzione e lavorazione del cemento; consulenti indipendenti. Un tavolo tecnico da cui sono emersi molteplici spunti su come indurre i settori produttivi a innovare per migliorare il loro impatto sull’ambiente, minimizzando i costi che cio' comporta e trasformando la sostenibilita’ in vantaggio competitivo e d’immagine. Produrre cemento utilizzando meno sabbia consente di ridurre i costi ed essere piu’ competitivi; produrre automobili a motore ibrido consente di riposizionarsi come azienda sensibile ai problemi ambientali.
Noto che ognuno presenta una soluzione coerente seguendo il proprio ragionamento, ma nessuno pone la questione su un piano piu’ sistemico, nonche’ normativo. Ovvero: tutti propongono nuove tattiche per vincere la partita, ma nessuno si chiede se sia anche necessario ripensare alle regole del gioco. Credo infatti che - nonostante cresca la motivazione e la capacita' delle aziende ad innovare - allo stesso tempo la globalizzazione le spinga completamente controcorrente: esse infatti sono libere di spostarsi laddove le condizioni per produrre sono piu' vantaggiose.
Le richieste di sostenibilita’ e equita’ sociale possono infatti essere parzialmente eluse trasferendo stabilimenti e filiere produttive in questi paesi in cui:
- si e’ piu’ liberi di inquinare;
- il personale costa meno;
- le risorse prime costano meno;
- si pagano meno tasse.
Da questo punto di vista, i governi dei paesi in via di sviluppo (e non solo) potrebbero considerarsi ostaggio dei grandi gruppi multinazionali: in assenza di idee su come promuovere le loro economie locali, sono alla mercè di chi porta lavoro. Invece che un gioco al rialzo assistiamo a una corsa al ribasso, dal momento gli stessi governi sono facilmente ricattabili: tu Messico non ci offri condizioni vantaggiose? Allora andiamo a produrre i nostri componenti per computer in Thailandia. Lo stesso accade ai fornitori: tu fornitore non ci offri pomodori a basso prezzo per le nostre passate in scatola? Allora li andiamo a chiedere al tuo competitore in un altro paese. Tu stilista milanese non ci offri design a basso prezzo per produrre i nostri vestiti? Allora andiamo a chiedere lo stesso servizio alla Camorra.
Credo sia limitativo riporre tutta la colpa di tale problema nelle multinazionali: esse infatti si comportano da attori economici "razionali", rincorrendo minimizzazione dei costi e massimizzazione dei profitti. Se sostenibilita’ ed equita' rientrano in questo schema, bene, altrimenti non avendo senso economico non hanno senso di esistere. Al contrario, un economista sosterebbe che tale pressione verso governi e fornitori a offrire la propria merce a un prezzo piu' basso, da una parte li incentiva a innovare (come?), dall'altra fa si' che i prezzi possano essere piu' bassi per i consumatori (ma su cosa si e' risparmiato?).
Teorie economiche a parte, un problema fondamentale, a mio avviso, esiste ancora piu’ a monte: allorquando non ci saranno delle regole globali, per cui per produrre e vendere in qualsiasi paese si devono rispettare un certo numero di standard, si andra’ sempre a caccia del miglior offerente. Potrebbe considerarsi un difetto di gioventu’ dell’economia globale: il gioco e' lo stesso, ma le regole sono diverse. In tale panorama, i grandi assenti credo siano quindi politici e legislatori, coloro che fanno le regole, e di fatto non c’era nessun politico al seminario a cui ho partecipato.
Finche’ le normative sono nazionali, perche’ aspettarsi che non si continui a giocare al ribasso per attrarre a se’ i datori di lavoro?
Se l’economia e’ globale, anche la politica dovrebbe esserlo. Altrimenti, in assenza di regole, comanda il piu’ forte?
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